E’ di questi giorni il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica che vieta l’uso della chirurgia estetica per “normalizzare” i tratti somatici di bambini con Sindrome di Down. Motiva il parere sostenendo che bambini (ed adulti) Down non hanno la capacità di scegliere e dunque siano spinti a tali, spesso dolorosi, interventi dai genitori. Evidentemente, genitori che non accettano la sindrome del figlio o che forse, in questo modo, tentano di offrire loro una vita “normale” equiparandoli, ma evidentemente solo sul piano fisico, agli altri “normodotati”.
Difatti, le qualità intellettive certo non migliorano facendoli assomigliare al resto delle persone e, parere degli esperti alla mano, viceversa questo tentativo di “normalizzazione” esteriore può creare traumi nell’accettazione di sé e delle proprie peculiarità; difficoltà superabili in tanti casi, ma con un lavoro di tutt’altro genere portato avanti dalle famiglie, dalla scuola e dalle Associazioni apposite che operano sul superamento dell’handicap “attraverso la consapevolezza e l’accettazione della Sindrome e ‘chiavi di lettura’ su come sapersela cavare – spesso egregiamente – nella vita quotidiana” come sostiene Anna Contardi, coordinatrice nazionale AIPD (Associazione Italiana Persone Down).
Cosa succede però se un ragazzo Down maggiorenne ed in grado di capire perfettamente la propria situazione, decidesse invece di correggere i tratti che lo caratterizzano? Mi chiedo fino a che punto sia libero di scegliere se annullare quei tratti che lo contraddistinguono. Credo che la libertà di scelta individuale vada salvaguardata al pari di qualsiasi altro maggiorenne che decidesse di rifarsi il naso, oppure le orecchie a sventola che magari gli creano complessi ed inibiscono la sua vita sociale. Può dunque una commissione decidere se sia giusto o meno farsi operare? Ritengo che una commissione debba dare linee generali per stabilire delle regole e tutelare chi non è in grado di farlo da sé, perché troppo piccolo o perché, come stiamo valutando ora, non sia capace di capire appieno la situazione (ma siamo sicuri che tante ragazzine neo diciottenni che si aumentano la taglia del seno, siano veramente in grado di valutare le conseguenze?). E poi sono necessari dei distinguo, caso per caso, dando la possibilità a quei ragazzi maggiorenni Down che dimostrano di essere perfettamente in grado di comprendere la situazione, al pari di tutti gli altri cittadini, se cambiare il proprio aspetto nel caso ciò sia causa di disagi psicologici e relazionali.
Personalmente amo le situazioni chiare, visibili e non credo nei trasformismi: non farei mai operare mio figlio Down, a meno che non fosse lui a chiedermelo ed io fossi convinta che lo faccia consapevolmente.
Non credo che l’accettazione del “diverso” passi per la strada del renderlo “conforme”, ma piuttosto nella comprensione del proprio stato, nell’accettazione e nell’aiuto ad integrarlo nella società in cui vive. Credo, invece, nel grande cambiamento culturale rivolto all’accoglienza del “diverso” che le associazioni di categoria stanno attuando nella società; benché ancora ci sia molto da fare e lo è dimostrato anche da alcune pagine di stampo neonazista (o, meglio, di deficienza culturale) sui social network – puntualmente denunciate e chiuse ma che ricompaiono di tanto in tanto – che inneggiano allo “sterminio” dei ragazzi disabili.
Ritengo che ad un ragazzo disabile si debbano piuttosto offrire pari opportunità come a tutti i cittadini: fornire le armi e gli strumenti giusti per affrontare nel miglior modo possibile questa vita complessa, offrendogli la possibilità di seguire gli studi, imparare competenze, crearsi una vita sociale (come molti riescono oramai a fare) pur con le mille difficoltà legate ai tagli del bilancio nazionale.
Ma sono anche fermamente convinta che ognuno di noi – abile o meno che sia – debba avere la libertà di scegliere, se le proprie scelte sono frutto di consapevolezza.
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