E’ normale chiedersi che governo ci toccherà nel 2013, ma c’è una certa indecenza nel tirare la giacca a Mario Monti perché dica se pensa di restare: indecenza, perché nasconde l’intento di compromettere il Presidente del Consiglio su una questione totalmente ipotetica (chi può dire ora quale sarà il risultato delle elezioni?), mettendolo in difficoltà coi partiti che lo sostengono e togliendo credibilità alla sua azione di governo, perché se Monti mirasse a succedere a sé stesso, la sua azione sarebbe bene o male condizionata dalla necessità di compiacere il suo potenziale elettorato ed egli cadrebbe, dal livello di statista, a quello di un politico come altri, dalle promesse inaffidabili e dalle tante riserve mentali inconfessate. Naturalmente, Monti è persona troppo saggia, e troppo navigata, per lasciarsi prendere da un giochetto così smaccato, e prontamente e opportunamente ha chiarito, se ce ne fosse stato bisogno, che esclude una sua ricandidatura. Tanto, egli sa bene che se, all’indomani delle elezioni, la sua persona si rivelasse indispensabile per una rinnovata “grande coalizione”, nessuno potrebbe obiettare nulla, mentre venire allo scoperto ora sarebbe dannoso per lui e quindi per il Paese. E comunque, come egli stesso ha ricordato, resterà membro del Parlamento in quanto senatore a vita (e, aggiungo sommessamente, altre prospettive potrebbero aprirsi per lui).
Mettendo per ora da parte l’ipotesi di un Monti-bis, che ci riserva il futuro? L’ineffabile, immarcescibile, truccatissimo Berlusconi (il “rieccolo”, come Montanelli definì in altri tempi Fanfani), smentendo sé stesso quando dichiarava di voler fare solo il “padre nobile” del partito (ma chi segue queste note sa che non ci abbiamo mai creduto) fa sapere che potrebbe ricandidarsi, sulla scorta di sondaggi che darebbero il PDL, con lui candidato alla premiership, al 28% (i sondaggi talvolta fantasisti messi avanti da Berlusconi, ovviamente, vanno presi con molto scetticismo). Viene la voglia di dire “Ma no, non è possibile! Ma no, è solo un incubo!”; ma morire dalla voglia di non mollare, di esserci, di contare ancora, è umanamente scusabile e in democrazia costituisce un diritto di chiunque, persino del Cavaliere. Fa un po’ di pena però vedere il servilismo (che in fondo equivale a una sorta di “cupio dissolvi”) con cui tanti, che dentro di sé speravano che il Cavaliere si facesse dimenticare, si affrettano ora a scodinzolare per lui: i soliti Gasparri e Cicchitto, beninteso (potevamo mancare?) e persino il saggio Schifani (però con maggiore compostezza, quasi per obbligo, lui che aveva altre idee in testa). Quanto ad Alfano, naturalmente, non c’è problema: ha gustato il miele del potere, ma sempre sapendo di essere solo un surrogato del tutto spendibile, un clone del vero boss, e l’unico conato di indipendenza lo balbetta nel non mostrarsi troppo entusiasta di essere parte di un “ticket” come numero due del Cavaliere. Giuliano Ferrara, quanto a lui, messi da parte quei sottili veleni che aveva distillato qua e là sul Foglio sul suo padrone, ora si rallegra per “il ritorno di un amico” (e che può fare, poveretto, lui che dipende dalle finanze berlusconiane?).
Ma la Palma d’Oro la merita senz’altro il solerte Galan, ex Governatore del Veneto e non memorabile Ministro dei Beni Culturali ( che in alcune circostanze mi era parso persona ragionevole ed equilibrata), il quale ha dichiarato, invero con veneziana eleganza, che il ritorno di Berlusconi lo fa godere “più di un orgasmo”. Beato lui! A me la prospettiva mette i brividi e, francamente, quel tipo di godimento è legato ad immagini più seducenti del vecchio e stradipinto Cavaliere: ma ognuno gode come può! Ma quel che lascia più perplessi è che l’inclito Galan si dichiara certo che il Berlusconi futuro sarà diverso dal Berlusconi passato, allontanerà da sé “statalisti ed ex socialisti” e sarà finalmente l’alfiere di una vera Rivoluzione Liberale (parole testuali) come da tempo l’Italia si aspetta.
Ed è certo che Berlusconi si prepara ad una colossale operazione di trasformismo: cambiare nome e forse volto al Partito, pescare a man salva nella “società civile” (visto che in passato è sembrato prediligere quella incivile) e, insomma, rifarsi una spessa mano di trucco per dare l’illusione di essere proprio lui – autore di tanti nostri mali – la speranza per il futuro! Ma non sottovalutiamolo: la sua capacità di abbindolare la gente è probabilmente ancora grande, perché da noi l’evasione nell’irrealtà è sempre tentante e la gente è portata a seguire più facilmente i mercanti di illusioni di chi parla in nome della ragione e, invece di promettere miracoli, chiede costanza, serietà e sacrifici (da noi un Churchill che prevedeva “lacrime e sangue” sarebbe stato preso a pomodori in faccia). Perciò noi liberali dobbiamo suonare l’allarme e denunciare senza stancarci i falsi profeti di un liberalismo già smentito nei fatti e che ora tra l’altro, per cavalcare sentimenti e risentimenti popolari dettati da una pessima comprensione della realtà dei fatti europei, sembrano volersi presentare con proposte illiberali come l’uscita dall’Europa e il ritorno alla lira, e magari qualche aperta o nascosta forma di protezionismo (come la sosteneva infondo Tremonti). E dobbiamo favorire quelle formule di governo che garantiscano un minimo di serietà e continuità nell’opera di risanamento e riforma del Paese.
Naturalmente, non è detto che i propositi di Berlusconi si concreteranno: tra l’altro, c’è di mezzo un processo in corso per gravi questioni morali, che potrebbe portare alla condanna e alla conseguente, e credo ben meritata, interdizione dai pubblici uffici; ma, a parte questa ipotesi, non credo troppo realistica (visto che nessun giudice è riuscito finora a incastrare il Cavaliere, capace, grazie a un’agguerrita schiera di avvocati e a norme ad hoc votate per proteggerlo, di passare come un’ anguilla tra scogli e secche giudiziali che avrebbero distrutto chiunque altro), credo che le sue esitazioni siano finte; e che la sua incontenibile, ormai senile, voglia di protagonismo, la sua impervia convinzione di essere il salvatore della Patria, prevarranno su altre, più ragionate, considerazioni, comprese quelle di una decenza elementare; e purtroppo il suo riapparire come candidato alla guida del Governo introdurrà nuovamente un grave elemento di rottura e di scontro in una politica italiana che, dopo la sua uscita di scena, si era in qualche modo normalizzata, tornando a creare quella funesta polarizzazione di amore-odio che l’ha turbata e resa irrespirabile fino al novembre scorso, con grave danno per il Paese: perché riesce difficilissimo immaginare un Fini, un Casini, un Bersani, disposti a collaborare in futuro con Berlusconi (non escluderei invece che possano esservi tentati Grillo e, naturalmente, la Lega se Berlusconi è disposto a cavalcare l’ondata dell’insofferenza e – lui che rappresenta i difetti peggiori della politica – a rifarsi una verginità come esponente dell’antipolitica).
Il problema del governo a venire resta, tuttavia, importante e in certo modo centrale. La credibilità che abbiamo recuperato, in Europa e nel mondo, ma non ancora presso i mercati, è condizionata dall’incertezza sul futuro. Intendiamoci, in ogni Paese occidentale e democratico, le elezioni comportano un’incertezza. Ma nella maggior parte di essi, gli osservatori sanno che, quale che ne sia l’esito, al governo ci sarà una maggioranza che condivide con l’opposizione le linee basiche della politica economica, della politica estera e, soprattutto, della politica europea. Anche da noi, per molto tempo, questo è accaduto: ora il rischio, almeno per quelli che guardano alle cose italiane superficialmente e dal di fuori (ma sono quelli che ci danno i voti), tutto questo non è più scontato. All’indomani delle elezioni, l’Italia potrebbe essere in mano a forze irresponsabili e demagogiche, pronte a riprendere e peggiorare i vecchi nostri vizi e, quindi, devono chiedersi dentro di sé i leader europei e gli analisti finanziari: conviene aprire all’Italia un credito in bianco basandosi sulla politica di un Governo, rispettabile, certo, ma che probabilmente non ha avvenire e non si sa da chi sarà sostituito? È appena il caso di notare che questa incertezza per il futuro ci costa già, e caramente, nel presente perché tiene alto lo spread e il costo del debito e rallenta investimenti e ripresa economica. Manchiamo, insomma, di quelli che nell’economia moderna sono beni essenziali: la prevedibilità e l’affidabilità.
Il Capo dello Stato, sempre attento e sensibile ai veri problemi, ha perciò espresso un auspicio sacrosanto: è chiaro che non è possibile, e non sarebbe lecito politicamente, preordinare da ora alleanze e coalizioni di governo, ma almeno i partiti principali dichiarino sin da ora la propria decisione a continuare l’opera di risanamento intrapresa dal Governo Monti: non è troppo chiederlo, ma finora PD e PDL si sono sottratti persino con qualche insofferenza a questa idea, che pure introdurrebbe qualche elemento di tranquillità negli operatori economici; ed è naturale: come vogliamo che prendano impegni che contrastino con le mille promesse più o meno irresponsabili che, da un lato e dall’altro, si preparano a fare in campagna elettorale? Come possono dare un avallo così importante all’operato di un Governo dal quale gli uni e gli altri non mancano di prendere quando possono le distanze? Come possono parlare di serietà quando pensano che quello che la gente vuole sono nuove chiacchiere, nuove illusioni? Come può in particolare il PD, andare così chiaramente controcorrente rispetto a quanto reclamano i sindacati, e soprattutto quella CGIL che resta in buona parte padrona degli umori del Partito? Come può permetterselo un Bersani già impegnato in una difficile, anche se per ora larvata, “primaria”?
Chi, come i Liberali, è al di fuori e al di sopra di queste preoccupazioni di bottega, ha però il dovere di dirlo chiaro: i sacrifici fatti, e i momenti duri attraversati e da attraversare, sarebbero vani se il Governo a venire riprendesse una linea di colpevole irresponsabilità; e deve battersi perché la futura maggioranza, con o senza Monti, sia la più larga, moderata e responsabile possibile, e governi nell’unico luogo possibile in un’epoca e in un mondo come quelli in cui viviamo: il grande centro moderato e riformista. Ne va del futuro dell’Italia, ne va del futuro dei nostri figli.
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