Governo, Confindustria, Istat. Banca d’Italia, Fondo Monetario Internazionale, agenzie di rating. Eurostat, gruppi bancari e giornali economici. Ognuno, partendo dagli stessi indicatori, fornisce la propria previsione sull’andamento del Prodotto interno lordo italiano per gli anni a venire, ma i risultati sono molto differenti. E dato che queste previsioni portano con sé la responsabilità – tanto maggiore quanto più autorevole è l’ente che le ha formulate – di un effetto reale ed immediato sui mercati, un raffronto sugli scenari proposti appare necessario.

L’ipotesi più ottimista è quella prospettata da Vittorio Grilli, forte della nomina a ministro dell’Economia appena ricevuta: con un programma pluriennale di vendita dei beni pubblici, per un valore pari all’1% di Pil all’anno (15-20 miliardi), considerando invariati l’attuale avanzo primario (sostanzialmente la somma disponibile per pagare gli interessi sul debito), l’attuale inflazione e l’attuale crescita nominale, il neoministro calcola una possibile riduzione del debito del 20% nei prossimi 5 anni.

Questo scenario favorevole non trova però conferma in nessuna delle previsioni proposte dagli altri enti in esame, a partire dalla stessa Confindustria che, per voce del presidente Squinzi, ha prospettato un calo del Pil nell’ordine del 2,4% (almeno) nel corso del solo 2012, un’ipotesi che supererebbe le peggiori previsioni sia di Bankitalia sia del FMI, accostandosi a quelle delle agenzie di rating come Moody’s, che negli ultimi giorni ha ulteriormente declassato i titoli del debito pubblico italiano, non credendo alla possibilità di un’uscita entro breve dalla recessione corrente.

Per Bankitalia il Pil italiano non dovrebbe contrarsi più del 2% nell’anno in corso (stima già ribassata rispetto ai documenti prodotti ad inizio anno), per poi limitarsi ad un -0,2% per il 2013, spinto soprattutto dall’esportazione, perché le misure di austerity fin qui imposte ed il blocco creditizio in corso impedirebbero un recupero della domanda interna nel breve termine.

Anche per il Fondo Monetario Internazionale la riduzione del Pil per il 2012 dovrebbe aggirarsi attorno all’1,9% ed allo 0,3% per l’anno successivo, in linea con i dati di Bankitalia, ma l’analisi più interessante è quella relativa alla sostenibilità del debito: qui sono sette i differenti scenari, coerentemente ai plausibili cambiamenti nelle variabili in uso. La prospettiva di base rimane un aumento del tasso effettivo del rendimento dei titoli di Stato decennali italiani, dal 4,2% del 2011 al 5,3% del 2017, che manterrebbe il rapporto tra debito e Pil superiore al 120% con un picco del 126% nel 2013. Nell’ipotesi migliore (spread invariato, riforme e spending review efficaci) si potrebbe scendere sotto la soglia del 120% di debito entro il 2017, mentre nell’ipotesi peggiore (stagnazione, riforme infruttuose, aumento dello spread fino a 580 punti nel 2013) si salirebbe oltre il 130% entro i prossimi 3 anni.

Certamente, gli scenari presentati restano legati ai fattori attuali ed all’attuale esecutivo, ma il 2013 porterà con sé un nuovo Governo e quindi nuovi elementi di analisi da incorporare nelle previsioni. Tanta parte avranno, come si è visto, gli effetti delle riforme finora introdotte dal Governo Monti: su di esse, più che sul panico dei mercati, poggia l’andamento futuro del nostro Paese, il nostro recupero e la nostra credibilità all’estero. E quale che sia lo scenario che si realizzerà nei fatti, il punto su cui convergono tutte le ipotesi è la lenta, lentissima risalita che ci toccherà affrontare negli anni futuri. Una risalita che deve cominciare il prima possibile, con liberalizzazioni, stimoli alla domanda interna e al mercato lavorativo, perché il domani, a detta di tutti, sembra essere ancora più cupo dell’oggi.

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