Quello scorso è stato proprio un venerdì nero, che ha fatto schizzare lo spread sui titoli del debito spagnolo ad oltre seicento punti (nonostante la decisione di Bruxelles di finanziare le banche iberiche per cento miliardi) e su quelli italiani a cinquecento.
Senza una consistente azione europea sarà impossibile affrontare un mese di agosto, che si prospetta caldissimo sui mercati e potrebbe travolgere tutta la fascia mediterranea dell’Europa, ritenuta economicamente più fragile.
L’Italia, nonostante i sacrifici imposti ai contribuenti ed i provvedimenti positivi, anche se timidi, del Governo sul terreno del contenimento della spesa, è sull’orlo del precipizio, anche se in gran parte per colpe non proprie, ma per una intrinseca fragilità, di fronte ad un attacco speculativo nei confronti dell’Euro così determinato.
Pur trattandosi di un Paese con una struttura produttiva ben più solida di quella della Grecia o della Spagna, difficilmente potrà resistere, se sarà costretta ancora a lungo a pagare tassi superiori al 6% per piazzare i titoli del debito pubblico, mentre la Germania vende quelli propri ad un interesse negativo. Lo stesso problema si pone per le nostre aziende, che devono sopportare per finanziarsi un costo quadruplo rispetto alla concorrenza continentale. In sostanza, all’interno dell’area dell’Euro, per alcuni sistemi Paese l’onere dell’indebitamento è proibitivo, mentre altri trovano chi è disposto ad affidar loro i propri risparmi, in cambio di una piccola perdita sul valore reale, ritenuta più o meno pari, o inferiore, all’inflazione.
Nessuno avrebbe potuto prevedere una crisi di portata così grande; tuttavia, quando fu condotto il negoziato per la moneta unica, oltre ad insistere per una parità più favorevole di quella ottenuta per il cambio con la lira, si sarebbe dovuto pretendere un meccanismo automatico di difesa delle economie più deboli, rispetto ad attacchi esterni, già allora prevedibili, in particolare da parte della Cina e delle altre rampanti economie asiatiche. Oggi la minaccia più consistente arriva da Londra e da New York, dove sono più attivi gli speculatori finanziari.
Nel prossimo incontro di Bruxelles bisognerà dare definitivamente il via al meccanismo di difesa europeo anti spread, proposto da Mario Monti, sul qualela Sig.ra Merkel ancora tergiversa e svolge un’azione frenante, se veramente non si vuole, insieme al crollo dell’Euro, anche la fine dell’Unione Europea.
Per il salvataggio non basta pensare soltanto al sostegno del sistema bancario, ma senza indugio bisogna procedere, all’interno dell’Eurogruppo, ad una convergenza di carattere fiscale e ad una significativa cessione di sovranità politica.
L’Italia ha le carte in regola, insieme a buone ragioni, per alzarela voce. Ovviamentele forze politiche nazionali devono responsabilmente dare pieno sostegno al Governo, evitando, (come in parte è avvenuto in Parlamento in occasione degli ultimi provvedimenti) di guardare soltanto agli interessi elettorali, nell’approssimarsi della fine della legislatura, anziché a quelli del Paese. Mettere in primo piano l’Italia è, secondo noi, il miglior modo per accreditarsi con l’elettorato, piuttosto che inseguire i mugugni delle corporazioni, che vivono a spalle dello Stato e sperano che, finita la parentesi del Governo tecnico, tutto possa tornare come prima, spesa allegra compresa. Questo è impossibile, chiunque dovesse vincere il confronto elettorale.
In effettila Corte Costituzionale, con la decisione di bloccare le privatizzazioni delle aziende dei servizi locali, fonti di spreco e di clientelismo politico, non ha aiutato, facendo esultare Vendola e tutti i post e neo statalisti come lui. Come si fa a non capire, anche se non si è di formazione liberale, che sostenere la gestione pubblica dei servizi in Italia significa comprimere il mercato e la concorrenza, incoraggiando il clientelismo dei parassiti della più squallida politica del passato?
Già qualcuno si prepara a tornare indietro sui pur modestissimi miglioramenti apportati al mercato del lavoro dalla legge Fornero, a riaprire le assunzioni nel pubblico impiego, forse persino a rivedere la normativa pensionistica.
Tutto questo mentre invece, indipendentemente da quanto compete assolutamente all’Europa, il Governo dovrebbe coraggiosamente decidere di ridurre la pressione fiscale su chi lavora e produce, che ha raggiunto uno dei livelli più alti del Mondo e por mano ad una indifferibile rivoluzione del nostro welfare. Come primo passo, quindi, bisognerebbe imporre altri tagli al costo della burocrazia ed avviare vendite cospicue di patrimonio pubblico, mobiliare ed immobiliare, al fine di approntare anche una difesa propria rispetto alla guerra in atto sugli spread e sul mercato borsistico. Infatti, se il Paese non avesse bisogno di ricorrere all’indebitamento internazionale per affrontare le prossime scadenze di BOT – che da qui alla fine dell’anno ammontano a circa 218 miliardi – potrebbe da solo fronteggiare la speculazione.
L’atteggiamento dei partiti, quelli esistenti e quelli che aspirano ad emergere o in via di formazione, segnerà una netta linea di distinzione tra chi lavora per il salvataggio dell’Italia e chi pensa esclusivamente ai propri obiettivi di potere.
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