Impietosa: è la foto che ritrae Umberto Bossi, ad una cena per un comizio a Trescore Cremasco in provincia di Crema, dove è stato ritratto solo al tavolo da pranzo. Dovevano esserci tutti i grandi dirigenti di partito, ma all’ultimo hanno disertato lasciando l’ex capo in un’ imbarazzante solitudine: “così capirò chi sono i leccaculo e chi mi segue veramente” ha commentato successivamente il Senatur visibilmente amareggiato, ma è cosciente che non ci sarà più nessuno intorno a lui. La Lega ha cambiato capo e ogni cortigiano che si rispetti segue con adulazione il nuovo reggente.

In questo caso l’erede (Roberto Maroni) – che ha tessuto la tela per anni – è riuscito a spodestare il vecchio e malato capo, congedandolo con un freddo “grazie e arrivederci” privandolo della gloria dovuta per anni di – seppur scellerato – combattimento.

E così via Bossi dal simbolo, via Bossi dagli appuntamenti importanti e persino cancellata Pontida, la storica e farsesca cerimonia che stava tanto a cuore al vecchio leader.

L’ex capo stanco, nel tentativo di riaffermare il proprio potere perduto, ha dichiarato “il capo sono io”. Inutile. Subito raggelato da Maroni ha dovuto nuovamente nascondere la coda tra le gambe rassegnandosi all’evidenza dei fatti: “il ruolo di presidente è puramente onorifico, il congresso ha deciso e la questione è chiusa”, queste le fredde parole che pungono come ghiaccio, riservate all’ex leader del Carroccio.

Le purghe maroniane sembravano dovessero colpire vari capetti locali, smaniosi di potere, invece il disegno era ben più grande. L’obiettivo era tagliare col passato. Nei suoi piani fin dall’inizio c’era l’idea di disfarsi del vecchio re leghista, troppo segnato dalla malattia, non più capace di resistere agli assalti degli avvoltoi. Debole, in balia di una famiglia sciagurata che ha attentato alla stabilità del regno. Per questo si è optato per la pensione e la totale emarginazione del fondatore, perché morto un papa se ne fa un altro.

Ma la cosa che più fa pensare è il mercenarismo del popolo verde, che fino a qualche mese fa, dove in prima fila c’era l’alta dirigenza padana, avrebbero messo in gioco la propria vita per proteggere  e difendere Bossi, mentre ora, con l’insindacabile verdetto del Congresso, abbandonano il vecchio per il nuovo. Certo Maroni è più giovane, accattivante e anche più politico dell’ex re Umberto e sicuramente con un maggiore savoir faire ha convinto i molti che quella seguita sarebbe stata l’unica strada percorribile.

Però in tutto questo non si può non condannare il Senatur di aver compiuto scelte scellerate che hanno portato a scrivere questo triste personale epilogo. In primis c’è la colpa di non aver lasciato dopo la malattia, forse per semplicemente smania di potere; e poi c’è la poco saggia decisione di spingere il “trota” in politica. Questo ha seccato non pochi dirigenti che hanno abbandonato la nave al primo segnale di pericolo.

Ed ora eccolo qui. Solo, seduto ad un tavolo vuoto mentre forse rimpiange i vecchi tempi in cui intorno a lui c’erano decine di dirigenti che pendevano dalle sue labbra. Forse ha ragione, potrà vedere chi veramente lo segue o chi se n’è approfittato, ma visto l’andazzo crediamo che il Senatur conosca già la risposta.

Certo, tutto ciò fa riflettere ma solo sul piano umano, non certo su quello politico che ci vede assai distanti da quel simbolo verde (il sole delle Alpi) che ad alcuni tanto ricorda le foglie di una pianta destinata ad andare in fumo come la stessa Lega: un presagio già nel loro simbolo?

© Rivoluzione Liberale

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1 COMMENTO

  1. Sic transit gloria mundi! O, piú adeguatamente: si raccoglie sempre quel che si é seminato.

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