Parigi – Non soddisfatta dell’essere stata letteralmente “colpita e affondata” dalla sua avversaria numero uno in amore Valérie Triérweiler, Ségolène Royal sta continuando a collezionare gaffe su gaffe, come ai tempi del concitato duello per la Presidenza della Repubblica contro Nicolas Sarkozy. L’ultima, fresca fresca, è legata ad un’esternazione a dir poco scomoda nei confronti della giovane Najat Vallaud-Belkacem, portavoce del nuovo governo socialista e pupillo del primo ministro Ayrault. In maniera improvvida, l’ex-compagna di Hollande, si è lasciata scappare, in un’intervista rilasciata al giornale Le Point, un incomprensibile “Najat è diventata ministra solo perché è marocchina”, scatenando le critiche dei suoi colleghi e le ironie incrociate dell’opposizione. Subito sono arrivate le smentite della Royal, che ha negato di aver detto tali cose, anche perché, nel 2007, la Vallaud-Belkacem era la sua principale portavoce durante la campagna elettorale. Ma non c’è da fidarsi. Ségolène è ancora stordita dagli stravolgimenti emotivi e politici degli ultimi mesi, e in più, dichiarazioni come quella citata, sono per lei un’amara consuetudine.
François Hollande, intanto, dopo gli incontri decisivi per il futuro dell’Europa con Monti e Merkel, si è preso alcuni giorni di pausa nella villa di Stato situata in Costa Azzurra. Il mezzo di trasporto utilizzato per recarvisi, manco a dirlo, è stato un semplice treno TGV, notizia che, naturalmente, ha entusiasmato i simil-sobri della sinistra buonista francese. Un po’ come ciò che successe in Italia, quando Napolitano e consorte furono visti andare al cinema, facendo la coda come persone normali, e pagando il biglietto come persone normali. Ditirambi, peana, salamelecchi e sviolinate, esaltanti la “morigeratezza di Stato”, invadevano paginate di Repubblica, e così è anche per Le Monde e Libération. Solo il conservatore Le Figaro continua a mazziare il buon Hollande, abile come pochi nell’alzare le tasse a dismisura, con la conseguente e nociva notizia per l’arrancante economia francese di una sempre più sfrenata fuga di capitali e investitori verso gli amati “paradisi fiscali”, dove la “morsa” dello Stato è apparantemente più tenue. Non certo in Italia.
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