Tutto cambia: cambia anche l’estate e cambia il Ferragosto. Ce le ricordiamo quelle estati della nostra infanzia, adolescenza e giovinezza (più o meno tra gli anni 50 e i primi 60)? Le vacanze erano un periodo dorato, che pareva estendersi all’infinito, pigro, assolato, placido, segnato da amori di stagione, appassionati, ma destinati a non durare al di là di settembre, solo fabbriche di ricordi, e quando il treno si allontanava finalmente da Rimini, da Viareggio, da Positano, giusto un po’ di piacevole nostalgia, una lacrimuccia dolceamara. Lo scenario per i nostri amori estivi era una rotonda sul mare, cullata dalle belle, lente canzoni di Gino Paoli, di Sergio Endrigo, di Peppino di Capri (a proposito, dov’è finita la nostra grande musica leggera, quella che ci faceva sognare e ci aiutava a conquistare la fanciulla amata?). Ora le vacanze sono rapide, durano una o due settimane al più e bisogna riempirle al massimo, profittare di ogni minuto pagato a carissimo prezzo, brevi parentesi tra due interminabili percorsi in auto col traffico impossibile e lo scenario degli amori estivi é negli infernali, chiassosissime discoteche, nelle quali ci si agita come marionette impazzite.
E il Ferragosto? Ce li ricordiamo quei Ferragosto di un tempo? Le città deserte, a parte qualche turista nordico in canottiera e sandali, le istituzioni in sonno, presente solo il Ministro dell’ Interno, la cui civetteria consisteva nell’essere il solo restato a Roma, il solo rigorosamente con giacca e cravatta, garante della sicurezza di tutti, e la TV mostrava quelle immagini desertiche, e i giornali non sapevano quale notizia inventarsi e si buttavano sulla piccola cronaca, sulle curiosità più strampalate. Per fortuna il Ministro dell’Interno é ancora lì, con la conferenza stampa di Ferragosto (ma quest’anno c’é un’intera Commissione Sicurezza che si riunisce nell’afa estiva) e c’é sempre il Papa, custode delle tradizioni più antiche, con la messa dell’Assunzione a Castelgandolfo, su sfondo di svizzeri che resistono stoicamente con quelle corazze e quei piumaggi nel caldo bestiale. Ma i giornali hanno sempre più (cattive) notizie da ammannirci, perché il mondo non si ferma, anzi d’agosto ci mette un certo impegno a essere ancora più imprevedibile, ancora più ingrato del solito.
Facciamo un po’ i conti del mese che stiamo vivendo: le Olimpiadi, certo, finalmente una festa, e anche per l’Italia una boccata di ossigeno, più seria di quello che pare perché i risultati sportivi sono anch’essi un indicatore del grado di organizzazione di un Paese, della sua capacità di fare squadra. Ci é andata bene, e il Presidente del CONI ha potuto dire con orgoglio che siamo rimasti tra i G-8 dello sport. Una domanda, però, forse ingenua: e perché mai non avremmo dovuto rimanerci? Davvero tutto da noi deve essere così precario, così imprevedibile, che anche i risultati più naturali ci producono sollievo? A me, comunque, sarebbe piaciuta un’Italia non all’ottavo posto ma al quinto o al sesto, superiore alla piccola Corea del Sud e alla pari, se non dell’Inghilterra, obbligata a vincere in casa, almeno della Francia, non eccelsa sul piano atletico. Mi sarebbe piaciuto inoltre che avessimo conquistato qualche medaglia anche in discipline dove un tempo dominavamo, come ciclismo, calcio, nuoto, e magari negli sport atleticamente più significativi, dove invece spadroneggiano americani, cinesi e russi. Ma insomma, non ci lamentiamo: uscire con onore é già tutto un successo. Un’ultima notazione, tuttavia: perché le squadre dei Paesi dell’Unione Europea non sfilano con la bandiera dodici stelle accanto a quella nazionale? Perché non si trova un modo di computare tutte insieme le medaglie europee? Se lo si facesse, ci si renderebbe plasticamente conto chela vecchia Europa, nonostante le sue crisi, i suoi complessi, i suoi ritardi, é di gran lunga la prima potenza mondiale nello sport settore non poi trascurabile. E forse questo contribuirebbe a farci piangere un po’ meno addosso.
Altre note sono più sgradevoli: WindJets (cronaca di un fallimento previsto e annunciato), ILVA, debito pubblico, Siria. Il pasticciaccio di Taranto é degno delle nostre peggiori tradizioni: anni, decenni, di colpevole indifferenza, peggio, di cecità da parte della autorità nazionali e locali e finalmente un magistrato che interviene, naturalmente con maniere da sceriffo del West, senza minimamente occuparsi del diritto al lavoro, della complessità di una situazione economica in cui é vitale non disperdere alcuna capacità produttiva, perché non é solo Taranto, ma tutto il Paese che rischia. Il vecchio motto“fiat justitia et pereat mundus” non é accettabile nel difficile mondo in cui viviamo: non si dice che i magistrati non debbano fare il proprio dovere (ci mancherebbe altro!) ma che lo facciano con senso della misura e senza deliri di potere. Bene fará dunque il Governo a ricorrere alla Consulta e speriamo che il massimo organo costituzionale non sia supino a una Magistratura intoccabile e incriticabile, secondo un riflesso che percorre buona parte del nostro mondo istituzionale e politico. Ma allo stesso tempo non chiudiamo gli occhi davanti alla realtà che chiunque sia passato per Taranto conosce bene: la cittá é inquinata, la salute é a rischio e dunque, senza chiudere un’industria vitale per la città e per il Paese, si ponga mano rapidamente alla sua bonifica ambientale, costi quello che costi. E per favore: che il Presidente Vendola si occupi meno dei diritti (sacrosanti) dei gay e più di amministrare una Regione ove diritto al lavoro e alla salute devono coesistere; e che il solitoDi Pietro, questo impresentabile misto di poliziotto e di inquisitore, stia, per una volta, zitto! Capisca, almeno una volta, che i suoi anatemi non passano in un’opinione pubblica assetata di buon senso, di senso della misura e magari anche solo di semplice buona educazione.
Il debito pubblico sta viaggiando verso i duemila miliardi di euro, una cifra che si fa persino fatica a immaginare. E questo in un periodo in cui Il Governo finalmente fa sforzi meritori per controllarlo, con misure ingrate e impopolari. Questo dimostra ciò che i Liberali vengono dicendo da tempo (e che il coretto PDL-PD-UDC ha finalmente, anche se tardivamente, scoperto): con un problema di queste dimensioni, misure timide, parziali, pur aiutando, rischiano di essere presto vanificate e neppure il pareggio del bilancio nel 2013 (ammesso che sia raggiungibile) basterebbe. É dunque il momento di prendere di petto la questione centrale: occorre abbattere seriamente la montagna del debito, con una massiccia dismissione del patrimonio pubblico e tagli finalmente profondi e incisivi della spesa pubblica, senza guardare in faccia a nessuno. Il Governo si dice pronto ad andare avanti, i principali partiti lo accettano, anzi lo chiedono (magari sparando cifre abbastanza utopiche). É dunque il momento di passare ai fatti.
Altri eventi ferragostani tengono più che altro del folclore: così il preannuncio leghista di un referendum sull’euro, che dubito sarebbe mai accettato dalla Cassazione, ma serve ad agitare le acque pre-elettorali. Altro folclore: la marcia del milione di cittadini pro-Berlusconi annunciata dalla ineffabile Santanchè (uno dei peggiori portati del cattivo gusto berlusconiano); altro ancora: lo scatenato Grillo che tuona contro le Olimpiadi: ma con che stomaco può votarli certa gente?
Non é purtroppo folclore quello che tutti i giorni accade in Siria e offende gravemente la nostra coscienza civile, e crea anche un senso di impotenza, perché siamo coscienti che c’é poco da fare per frenare quel massacro, giacché ogni intervento di forza dall’esterno, se non sostenuto dall’intera comunità internazionale, non farebbe che aggravare la situazione e portare rischi di un conflitto ben più ampio e persino più tragico. E inoltre ci rode un timore: e se dietro la ribellione ci fosse la solita Al-Qaedae tutto rischiasse di finire in un ulteriore regime arabo fanaticamente islamico e nemico dell’Occidente? E folclore non é, per nulla, quello che si annuncia tra Israele e Iran, con i piani di attacco ora rivelati da un blogger israeliano e che a me sembrano piuttosto verosimili per la loro sofisticatezza tecnologica. D’altra parte, come chiedere a Israele di assistere inerte alla possibilità, ormai vicina, che un Paese fanaticamente antiebreo si doti della capacità nucleare in grado, a medio termine, di distruggerlo o almeno di dettargli condizioni impossibili? E se una parte di noi si dice che una nuova avventura bellica nel Medio Oriente sarebbe un disastro dalle imprevedibili dimensioni, dobbiamo dirci altresì che sono terribilmente in colpa quei Paesi, Russia e Cina innanzitutto ma non solo loro, che continuano a bloccare l’alternativa di sanzioni che possano davvero piegare il regime degli Ayatollah, con un cinismo che ricorda i periodi più bui della Storia, quando miopia e attaccamento ai propri gretti interessi hanno provocato catastrofi che hanno coinvolto tutti: gli innocenti e i colpevoli e, alla fine, gli stessi cinici.
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