Iran-Bahrain, partita decisiva per le qualificazioni ai mondiali del 2006 in Germania. Lo stadio di Teheran è quasi colmo, ma non tutti possono averne l’accesso. Alle donne iraniane è infatti proibita la visione del match per il rischio di essere importunate dalle volgarità e dalle imprecazioni della tifoseria maschile, ma alcune di loro, travestendosi da uomini, tentano temerariamente di farsi largo tra la folla per oltrepassare il luogo interdetto. Invano. Arrestate e serrate dalla polizia in un recinto prima del fischio d’inizio, vengono obbligate ad ascoltare le urla e gli applausi provenienti dall’interno dello stadio e sbeffeggiate dalle ingiurie delle guardie indifferenti al mondo del pallone, senza potere vivere in prima persona le emozioni dell’evento. Ma nonostante ciò, decidono di non mollare, ed espediente dopo espediente, riescono alla fine a vincere la “loro partita collettiva”.

Dopo Lo specchio, Pardo d’oro a Locarno nel 1997, e Il cerchio, Leone d’oro a Venezia nel 2000, il regista iraniano Jafar Panahi continua in Offside la sua precisa e arguta indagine documentaristica sulla situazione contemporanea del paese in cui vive, ed in particolare sulla difficile condizione della donna in una società, quella islamica, estremamente rigida e codificata, attraverso, questa volta, un tocco di ironia sapientemente dosato che si distanzia dai drammi pessimisti delle precedenti pellicole. Come riferisce esplicitamente il titolo, le giovani tifose si trovano appunto in Offside, fuorigioco, ingabbiate all’esterno dell’ultimo anello dell’impianto sportivo a cui non possono accedere, divieto che sta a simboleggiare una più ampia e generale minorità di genere, quella disparità di diritti a cui le donne in Iran sono ancor’oggi costrette.

Il coraggioso Panahi, imbavagliato nel suo paese dalla doppia condanna del dicembre scorso a sei anni di carcere e venti di silenzio artistico, ci restituisce una pellicola tra commedia e denuncia che ha il gran merito di evitare ogni sorta di moralismo urlato, e che attraverso il finale liberatorio sembra suggerirci l’importanza, o ancor più la necessità di una riconciliazione tra uomini e donne all’interno della comunità iraniana contemporanea. Un grazie finale alla Bolero Film che, dopo ben cinque anni, ha permesso l’uscita nelle sale italiane di questo piccolo gioiello. Della serie: meglio tardi che mai.

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