Caserme, fari, immobili di pregio, castelli e terreni agricoli. Sono questi gli asset pubblici che il Governo dei Prof si prepara a mettere sul mercato per tamponare la crisi del debito sovrano.

Sul tavolo del Premier, in questi giorni, due progetti dalla stessa matrice: da una parte il Piano Grilli, disegno da 15-20 miliardi l’anno per i prossimi cinque (1% del Pil) messo a punto dal Ministro dell’Economia per la dismissione di parte dei beni immobili dello Stato, senza “mano mettere” alle quote del Tesoro nelle società strategiche quotate alla Borsa di Milano: Enel, Eni e Finmeccanica.

Dall’altra parte, poco più in là del tagliacarte, Monti trova il dossier Amato-Bassanini. Un progetto ambizioso che punta a una sforbiciata da 178 miliardi di euro di beni immobili entro il 2017.

Nel primo caso il veicolo dell’operazione potrebbe essere una Società di Gestione del Risparmio (Sgr) immobiliare che il Ministero dell`Economia e l`Agenzia del Demanio stanno costituendo per gestire oltre alla messa a reddito degli immobili pubblici anche i fondi immobiliari previsti nell’ultima correzione della legge sulla Spending review. Alla costituzione del capitale iniziale di Sgr e Fondi dovrebbe partecipare soprattutto l’Inail, con una liquidità complessiva di 420 milioni, mentre per i conferimenti di asset pubblici si dovrebbe partire con 350 immobili di Stato, per un valore complessivo di 15 miliardi di euro. A questo piano il Governo ha affiancato altri due fondi speciali: il primo per la privatizzazione delle aziende municipalizzate del mare magnum degli locali italiani. Il secondo per la gestione e la dismissione dei beni assegnati agli enti locali con il federalismo demaniale (circa l’80% del patrimonio immobiliare complessivo).

In tutto, SgR e Fondi, potrebbero realizzare, nel 2013, dismissioni per di 4-5 miliardi di euro, da aggiungere a quelli del conferimento alla Cassa Depositi e Prestiti delle partecipazioni del Tesoro in Fintecna, Sace e Simest, che con la consulenza di Goldman Sachs e Société Générale dovrebbero rifruttare altri 5 miliardi in tutto. L’incasso complessivo, dunque, per 10 miliardi di euro, potrebbe essere interamente destinato al Fondo di ammortamento del debito pubblico o, in alternativa, allo sblocco dei debiti della Pubblica Amministrazione con le imprese.

Il Piano Amato-Bassanini, invece, più corposo e complesso, prevede oltre a una dismissione massiccia di asset immobiliari, anche una miglior valorizzazione delle concessioni di Stato, l’imposizione agli enti previdenziali dei professionisti di investire in titoli di Stato e una serie di incentivi e disincentivi fiscali per allungare le scadenze del debito.

Per chiudere il bazar, infine, pochi giorni fa è arrivata anche la proposta del PdL: un piano per la vendita del demanio pubblico per 400 miliardi di euro, che però sembra non aver fatto particolare breccia sulla conduzione strategica della cartolarizzazione dell’era Monti-Grilli.

La grande privatizzazione di Stato o meglio, la cartolarizzazione massiccia del mattone pubblico è dunque inziata e per lo più con tutti i buoni auspici che da tempo i liberali si aspettavano da Monti: la redditività del capitale statale dormiente, l’alleggerimento dell’ossatura proprietaria centrale e l’avvio delle procedure per lo “Stato minimo”.

Secondo fonti vicine al dossier la “cartolarizzazione di Stato” sarà una buona fusione dei progetti Grilli e Amato-Bassanini e manterrà inalterata l’estromissione delle aziende della difesa e dell’energia dalla svendita immobiliare. Al grido di Vendere! Vendere! Vendere!, però, che ruolo avranno Sorgente Group, il Fondo Immobili Pubblici, le Assicurazioni Generali, KPMG e le grandi Società italiane di gestione del risparmio immobiliare? E ancora, quanto è alto il rischio che si venda il mattone, si tenti di ripianare il debito ma ci si debba fermare al soglio delle agenzie di rating e delle grosse lobby bancarie europee dello spread? Domande queste, che ci portano un poco di preoccupazione, specie perché se alla vendita e alla riduzione dello Stato non si aggiunge una stretta definitiva ai rating e alle valutazioni sui debiti, oltre a una forte politica sugli Eurobond, il rischio è di cartolarizzare lo Stato e di regalarlo al miglior offerente è molto alto e sicuramente non più sostenibile dagli italiani. Per il momento, da liberali, attendiamo i Decreti attuativi di questo mucchio di belle idee, per capirne i confini e i benefici per l’economia e la finanza di questo nostro “malato terminale”. La mano invisibile di Smith, tutto sommato, ha iniziato ad arretrare e per noi, questo, è un ottimo segnale.

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