Non sono stati pochi i ritardi e i rinvii del bramato Decreto Digitalia, ma stando a quanto si legge nell’agenda del governo i lavori iniziati a marzo (con l’istituzione della Cabina di regia per l’Agenda digitale italiana) dovrebbero avere termine con la presentazione del Decreto durante il mese corrente.
Tra i compiti da svolgere, con un generoso fondo di 3 miliardi a disposizione, ci sarà “l’azzeramento del digital divide di primo livello e la realizzazione delle reti di nuova generazione”, nonché lo “sviluppo del commercio elettronico a livello nazionale ed internazionale” e ancora “la piena digitalizzazione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione”. E’ il tentativo di recuperare un decennio di innovazione accantonata.
Il ritardo sembra essere il protagonista ed il filo conduttore di tutte le problematiche connesse alla situazione digitale italiana, così disperatamente indietro rispetto a tutte le altre Nazioni europee, e non solo.
Il rapporto Akamai 2012, appena pubblicato, disegna annualmente un quadro globale sulla Rete analizzando dati relativi alla penetrazione di Internet (in % sulla popolazione), la velocità di connessione, la diffusione delle connessioni a banda larga (sopra i 4Mbps, megabyte al secondo) e ad alta velocità (sopra i 10Mbps).
Per la macroregione EMEA, che comprende Europa, Medio Oriente e Africa, per la velocità media di connessione l’Italia si trova al 41esimo posto, dopo Spagna e Israele, al 44esimo posto per la banda larga (con una penetrazione limitata al 32% della popolazione) ed al 37% per l’alta velocità, disponibile solo per il 2,6% degli italiani.
Ma su questi posizionamenti già di per sé imbarazzanti grava anche la lentezza nella crescita: rispetto al 2011 le connessioni veloci sono cresciute del 25%, a fronte del 181% della Spagna e del 140% della Francia.
La ripercussione economica di questi dati è pesantissima, perché in ballo non è un settore produttivo a sé stante, ma di uno strumento che ha le potenzialità di rivoluzionarne tutti gli altri, come altrove hanno ben capito.
In Francia ad esempio, per non allontanarci troppo verso le vette d’eccellenza dei Paesi nordici, nel corso degli 15 anni si sono creati grazie allo strumento Internet 1.200.000 posti di lavoro, in Italia 700.000 solamente, e tutti all’interno delle maggiori realtà aziendali, mentre in Francia la rivoluzione è ruotata attorno alle piccole e medie imprese, che là come qua costituiscono la stragrande maggioranza del tessuto economico nazionale.
Chiedersi se sia la scarsa conoscenza della rete a fare dell’Italia un popolo poco avvezzo ad Internet o se invece siano i freni culturali ad aver rallentato la sua diffusione sul territorio è come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Quel che resta una necessità è che il tanto atteso Decreto sia in grado di smuovere almeno uno di questi due fattori, e che questo possa stimolare l’altro in un ideale circolo virtuoso. Non fosse altro per le tante eccellenze italiane che meritano degli strumenti ed una visibilità di gran lunga maggiori di quelli attuali. Ora abbiamo una chance di accendere i riflettori, sfruttiamola.
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É davvero grave constatare a quali ritardi ci abbiano condannati l’ignavia di tutti i governi succedutesi in un decennio e la loro completa cecitá di fronte ai veri nodi dello sviluppo, che fa del Paese di Galileo, Marconi, Volta ed Enrico Fermi il fanalino di coda dell’Occidente! Non si puó che ammirare un governo che stá tentando di fare, col fiato corto e tra mille ostacoli, una vera rivoluzione culturale, la sola che ci consentirá di tornare a crescere veramente. E fa male che di questi probleminon si discuta né tra i partiti, né nella grande stampa, né nell’opinione pubblica, tutti intesi a perseguire le loro piccole dispute, i loro miniproblemi, le sbavature dei vari Grillo e Di Pietro. Speriamo che Monti abbia tempo per completare parte almeno di quanto si é proposto.