Attesissimo, applauditissimo, incensatissimo, esaltatissimo. Dalla stampa italiana di sinistra, figurarsi da quella francese che, fatta eccezione per Le Figaro, tende tutta da quella parte. Après Mai di Olivier Assayas – in concorso per il Leone d’Oro alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia – è, a quanto pare, uno dei film favoriti per il massimo premio, accanto a The Master dell’americano Paul Thomas Anderson e Pietà del sudcoreano Kim Ki-Duk. Ambientato all’inizio degli anni ’70, con al centro le vicende incrociate di giovani abbacinati dall’ideologia sessantottina, la pellicola dell’ex critico dei Cahiers du cinéma è largamente autobiografica.
Après mai, dopo maggio, è l’ennesimo film sulla generazione del maggio ‘68, intriso di passatismo e nostalgia canaglia, che a tanta critica piace, specialmente quella attempata, la quale, nelle flebili esistenze di Gilles e Christine, rivede sé stessa e la propria gioventù. Anch’essa accecata dallo smodato romanticismo che la pellicola lascia trapelare, con la bandiera rossa e l’eskimo ancora nascosto nell’armadio. Un po’ ciò che si era già visto in Les Amants réguliers di Philippe Garrel, uscito in sala nel 2005, e dedicato al maggio francese. Assayas sposta solo la lancetta del tempo di due anni, ma il risultato finale è banalmente identico. Molto meglio l’altro film in concorso, Superstar di Xavier Giannoli, brillante e vivace commedia sulla superficiale ed effimera popolarità data dalla televisione. Ma stiamone certi, non lo premieranno.
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