«Sono nata a Roma ma non posso diventare la più bella d’Italia. Questo toccante appello che ha stravolto la mia giornata viene da una fanciulla originaria dello Sri Lanka che concorre al concorso di Miss Italia. L’intraprendente tipino ha scritto niente popò di meno che a Giorgio, il nostro imperatore.

Mi sono espressa altre volte a proposito della cittadinanza degli stranieri nati nel nostro paese e rimango, anche dopo questa toccante lettera, del mio parere. A bella, la cittadinanza và guadagnata! Vorrà dire che per ora il mondo si farà una ragione del fatto che tu non possa diventare Miss italia.

Archiviata questa penosa notizia tra quelle di cui non me ne importa un tubo, leggo del festival di Venezia e della vittoria del film coreano “Pietà”. Segno subito sull’agenda di andarlo a vedere appena esce: pare sia la storia di uno strozzino, dire imperdibile è poco!

I nostri conterranei, come spesso accade, hanno fatto pena. Le solite miserrime storie inseguendo un finto neorealismo nel quale questi registi si immaginano Rossellini, per poi produrre noie faraoniche con lesionistiche autocelebrazioni. Lo so lo so, ho esagerato, ma per un attimo mi sono immedesimata nella cinematografia di casa: pomposa, scritta dai soliti noti ormai sterili d’idee, ripetitiva e capace di suscitare sonori sbadigli. Lessi tempo fa un’intervista a Giuliano Montaldo – era in uscita il suo ultimo film – e lui diceva: questo film non incasserà una lira, orgoglioso del fatto. Questo perché, leggevo io tra le righe, era un prodotto di nicchia. E allora la domanda sorge spontanea: ma che lo hai fatto a fare? Avevi vinto al Superenalotto e volevi spendere soldi per tuo compiacimento? Ma a voi frega qualcosa di vedere un film “di nicchia” per poi uscire dal cinema con una depressione galoppante? Rivoglio Mary Poppins!

Mi hanno stancato questi tromboni incapaci! Come quell’altro portatore sano di manicomio, i cui film sono una delle cause dei suicidi di massa. Deluso dice. Beh che dire, anche la storia, il caso Englaro, era molto appetibile. Segno anche questo nell’agenda.

Mi vengono in mente alcuni film di Vittorio De Sica e ho le lacrime agli occhi. Andrò, per consolarmi, a rivedermi per la duecentesima volta “C’era una volta il West”!»

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