“Riconosco che i tempi sono cambiati dalla prima volta che ho parlato a questa convention. I tempi sono cambiati e io sono cambiato”, ha dichiarato la sera di giovedì 6 Settembre il Presidente Barack Obama, durante la convention del Partito Democratico. Nel 2008, in uno stadio di Denver pieno all’inverosimile, Obama aveva fatto sognare, parlando di speranza e cambiamento. Questa volta però, il Presidente sembrava meno inspirato. E’ arrivato sul palco sulle note degli U2, davanti a più di ventimila simpatizzanti incandescenti, che scandivano “ancora 4 anni!”. Ma ha pronunciato un discorso sobrio, e soprattutto senza grande passionalità.

E’ arrivata l’ora del cambiamento. Ormai la parola d’ordine è ‘continuità’. “Mi avete eletto perché vi dica la verità. E la verità è che ci vorrà più tempo perché vengano risolti tutti i problemi che si sono accumulati da decenni”. Tradotto, datemi ancora 4 anni, il tempo di “finire il lavoro”. A Denver aveva dichiarato a voce alta: “America, non è più il momento di avere obiettivi modesti”. A Charlotte, le ambizioni sono state riviste al ribasso. Tanto per cominciare per la location. Inizialmente doveva parlare davanti a 75 mila simpatizzanti in uno stadio, ma  a causa delle previsioni meteo “sfavorevoli” l’incontro si è tenuto in un’arena più piccola, lasciando fuori un’orda di sostenitori frustrati . “E’ perché non sarebbe riuscito a riempire lo stadio”, hanno subito commentato i Repubblicani.

Il Presidente ha presentato una lista di misure da attuare durante il suo secondo mandato, come aumentare il numero di professori di matematica ed effettuare più carotaggi sul suolo americano. Ma si è ben guardato di promettere il dialogo e l’unione sacra con i Repubblicani, che era uno dei grandi temi della campagna solo 4 mesi fa. Non ha neanche fatto riferimento alla riforma della sanità, uno dei suoi maggiori successi. Troppo controversa. Il discorso era rivolto in effetti non alla folla di Charlotte, ma agli Americani indecisi che guardavano il “loro” Presidente alla televisione. Per quanto riguarda “la speranza”, questa è stata messa “a dura prova” per il costo della guerra e la crisi. E’ probabilmente per questo motivo che la parola è sparita dalle magliette con l’effige di Obama che venivano vendute alla convention. Questa volta, si parla di “strada in salita”, di “strada più lunga”.  Obama si è rivolto così al suo pubblico: “avete la scelta tra due alternative per l’America, due visioni fondamentalmente diverse dell’avvenire, una che vi riporta indietro alle stesse politiche disastrose ed inefficaci messe in atto durante l’amministrazione di George Bush e l’altra invece che vi porterà in avanti.”

Quattro anni dopo, Barack Obama è diventato soprattutto un uomo politico come gli altri. Utilizza tutti i mezzi, per denigrare il suo avversario, quando nel 2008 denunciava questo tipo di pratica. Poco importa. La sala l’ha acclamato lungamente mentre i coriandoli cadevano sulla folla. Si sono chiusi così tre giorni di convention dove Democratici di tutti i tipi, dalla first lady Michelle Obama all’attrice Scarlett Johansson – che ha raccontato la sua infanzia in un quartiere operaio – passando per i genitori di una bambina malata di cuore, aiutata dalla riforma sanitaria, sono venuti tutti a difendere l’operato del Presidente e confutare  le argomentazioni dei Repubblicani  secondo i quali l’America è in posizione ben peggiore di quattro anni fa. Ormai ha fatto storia la battuta di John Kerry che rivolgendosi ai presenti li ha invitati a chiedere a Osama Bin Laden se stesse meglio rispetto a 4 anni fa. “Osama è morto e General Motors è viva”, ha rilanciato Joe Biden, il vice-presidente, alludendo così ai successi della politica estera ed economica del Presidente uscente. Ma è Bill Clinton che ha “venduto” meglio Barack Obama. In un discorso straordinariamente potente che ha galvanizzato la folla, ha difeso ogni sua azione spiegando in modo concreto – molto meglio di come l’avesse mai fatto l’amministrazione Obama – l’effetto della regolamentazione finanziaria o della riforma delle assicurazioni per i pensionati. Non sono mancate ovviamente critiche feroci ai Repubblicani.

Basterà tutta questa retorica a dare a Barack Obama i suoi “tempi supplementari”? In questo momento non vi è alcuna certezza, per nessuno. Obama e Romney  si sono lanciati nello sprint finale, affrontando l’ultimo rettilineo prima delle presidenziali del 6 Novembre. I sondaggi li danno gomito a gomito. Questa elezione si avvera essere la più serrata nella storia recente degli Stati Uniti.

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1 COMMENTO

  1. Hai ragione. Ed é un peccato, perché Obama, il cui difetto stá nel non aver potuto soddisfare tutte le promesse fatte (in parte perché erano eccessive, in parte per colpa del congresso a maggioranza repubblicana) merita un secondo mandato e, soprattutto, non meritano di tornare al potere gli eredi della disastrosa politica di Bush. Ma gli umori dell’elettorato sono ormai estremamente variabili in tutto l’Occidente (dove non abbiamo tradizione di “caudillos” e dove gli idoli di oggi, per il fatto stesso di aver suscitato aspettative esagerate e irrealistiche, vanno abbattute con altrettanta frenesia di quella con cui sono stati acclamati). E pare che vi sia un dilemma dal quale é difficile uscire: se in campagna elettorale si fa un discorso serio, moderato, realistico, non si infiammano gli animi e non si suscitatano gli entusiasmi necessari, per cominciare, perché la gente vada a votare; ma poi, com’é nella realtá delle cose, in un mondo in cui nessun gverno é onnipotente (salvo che nel far disastri), gli entusiasmi generano disincanto e distacco. In America poi va tenuto conto di un ulteriore fattore di incertezza, che pesa in un’elezione testa a testa: come sappiamo, non é si é eletti col piú alto numero di voti popolari (che penso tuttora favorisca Obama), ma con quello dei delegati degli Stati, e non sempre le due cose coincidono (ricordiamo il caso Bush-Gore). Tutto é dunque. ahimé, possibile e a noi europei resta solo da assistere impotenti (e al massimo “tifare”) in una vicenda il cui esito ci riguarderá da vicino.

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