Nelle Commissioni congiunte Affari costituzionali e Giustizia del Senato continua l’iter del ddl anticorruzione, un disegno di legge che, coagulando in sé molte altre riforme, rappresenta un “tassello centrale” nella strada per la ripresa della competitività del Paese, come ha sottolineato il ministro della Giustizia Paola Severino. “Le misure che abbiamo proposto sono in linea con le indicazioni che provengono dalle istituzioni internazionali e dall’analisi economica”, ha aggiunto il Guardasigilli. “Il Governo si spenderà moltissimo per la sua approvazione”, senza affatto considerare un tabù anche nuove norme sulle intercettazioni”. Anche se è ancora tempo di meditazioni, il ministro Paola Severino assicura delle “soluzioni che garantiscano il bene tutelato a partire dalla leale concorrenza” soprattutto in riferimento alla procedibilità d’ufficio a proposito di corruzione tra privati e, proprio su quest’ultimo punto (fonte di precedenti tensioni tra Guardasigilli e Pdl), chiede più tempo per riflettere. Per i democratici si aprirebbe una frattura nel caso di modifiche concordate tra ministro e Pdl, in particolare a proposito della contestata “nuova concussione” (induzione indebita a dare o promettere utilità) e relative pene; i nuovi reati di traffico di influenze illecite (lobbismo senza regole) e corruzione tra privati. Se il ministro aprirà al Pdl su questi tre punti il Pd annuncia che per il reato di concussione per induzione, in particolare, chiederà al Guardasigilli di ripristinare la pena originaria, “con una sanzione, nelle pene massime, pari a 12 anni di reclusione” – afferma il capogruppo dei democratici in commissione Giustizia – sanzione che nel testo approvato dalla Camera riduce la pena per il reato di concussione da 13 a 8 anni. Il Pdl fa quindi pressing proprio sulle norme più delicate del disegno di legge, quelle che potrebbero subire delle modifiche essenziali e sulle quali il ministro ha sottolineato la necessità di “un minimo di meditazione”. La destra, inoltre, incalza anche per far sì che l’accordo sulle norme anticorruzione procedano di pari passo con le nuove norme sulla responsabilità civile delle toghe e sulle intercettazioni.
Per il ministro Severino una normativa più severa contro la corruzione è, in ogni caso, l’elemento fondamentale per far crescere il reddito del Paese: “Secondo le stime della Banca mondiale, la crescita del reddito potrebbe essere superiore del 2-4% con un’efficace lotta alla corruzione”, afferma il Guardasigilli. Il ministro della Funzione pubblica, Patroni Griffi, sottolinea inoltre la necessità di prevenire il male: “Contro la corruzione servono infatti la rotazione dei dirigenti e maggiori incompatibilità per chi è al vertice nella Pubblica amministrazione”; in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica amministrazione ancora si dibatte all’interno delle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia.
In definitiva, approvare la legge anticorruzione è “necessario”, come ha più volte sottolineato il premier Mario Monti che, con caldo ottimismo, ha ribadito: “La legge sulla anticorruzione ci sarà”. “Questo elemento è essenziale per la competitività del Paese,oltre che per la vita collettiva”. È una legge necessaria per liberare l’Italia dalle catene dell’illegalità, della mancata trasparenza e della concorrenza sleale. Una giustizia affidabile e un sano regime di libera concorrenza sono le facce di una stessa medaglia.
Il legame tra giustizia ed economia è sottilissimo, e a volte invisibile: un sistema economico efficiente presuppone sempre una buona gestione ordinaria e straordinaria della giustizia mentre in Italia per risolvere, ad esempio, una controversia tra imprese ed ottenere una sentenza sono necessari ben 1.210 giorni, contro i 331 impiegati in Francia e i 394 in Germania (rapporto “Doing Business 2012”). Una situazione patologica, quella italiana, che non si riscontra in nessun altro paese dell’Unione Europea, Grecia compresa e, non a caso, il ministro Paola Severino, insieme all’intero Governo, preme fin dall’inizio dell’iter del ddl anticorruzione sul tema “Giustizia e crescita economica”. Secondo il rapporto “Doing Business 2012”, inoltre, la corruzione in Italia non corrisponde solamente ad una “tassa” del 20% sugli investimenti stranieri ma ancor più devastante è “l’effetto domino” da essa scatenato: la corruzione inquina tutti i meandri del sistema economico dato che “altera il flusso del denaro in entrata (reato presupposto per creare fondi) ed in uscita (il “nero” produce spesa “illecita”) generando una sorta di effetto domino”. Inoltre una giustizia civile lenta “incrementa il ricorso delle imprese al debito commerciale (dilazioni di pagamento)” ed è direttamente proporzionale ad una minore natalità delle imprese, in particolare ad una loro minore dimensione media: “Una riduzione della durata delle procedure civili del 50% accrescerebbe del 20% le dimensioni medie delle imprese manifatturiere”.
In una situazione economica a dir poco devastata è chiaro che la nuova legge anticorruzione non è più rinviabile, come del resto la riforma sul sistema di voto; per di più la credibilità del nostro Paese dipende dalla sua capacità di portare a termine le riforme più “importanti”, quelle che interessano anche all’Europa e sulle quali si fonda un futuro migliore per l’Italia, in cui la parola d’ordine dovrebbe essere ‘legalità’.
La fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche dipende da tutto questo. Occorre combattere la corruzione tra privati e il traffico di influenze illecite; occorre imporre una rigida disciplina di trasparenza alla Pubblica amministrazione; occorre ripristinare un normale e diffuso sentimento di giustizia, ciò che, come afferma John Stuart Mill, “potrebbe essere un istinto ben preciso, eppure, nonostante ciò, potrebbe richiedere di essere controllato e illuminato, come gli altri nostri istinti, da una ragione superiore”.
Le sanzioni, comprese quelle nuove previste dalla legge ancora sottoposta all’esame del Senato, devono inoltre essere effettive e credibili e chi non rispetta le regole deve pagare, come un dovere, per il danno arrecato all’intera comunità. Afferma Mill: “Il dovere è qualcosa che si può ‘esigere’ da una persona, proprio come si esige un debito”.
La corruzione strangola il sistema economico non solo per i costi diretti che gravano sulla comunità ma anche per i costi indiretti che ogni forma di corruzione comporta: riduzione degli investimenti stranieri, minor credito alle imprese e alle famiglie e quindi aumento del tasso di mortalità delle imprese e famiglie sempre più insicure o con le mani legate. La corruzione, in pratica, finisce per minare i diritti fondamentali di libertà e di uguaglianza; quest’ultima, in particolare, “rientra come parte costitutiva sia nella concezione sia nella pratica della giustizia: agli occhi di molti, anzi, ne costituisce l’essenza”, afferma John Stuart Mill. “L’uguaglianza è un imperativo della giustizia” al pari dell’imparzialità. “Per ammissione universale, è incompatibile con la giustizia essere ‘parziali’: favorire o mostrare preferenza per una persona più che per un’altra, in questioni dove favore e preferenza non devono propriamente entrare”. In definitiva, l’approvazione di nuove norme, le dichiarazioni di intenti e le affermazioni di principio, devono essere sorrette da una concreta applicazione delle sanzioni nei confronti di coloro che non riconoscono la giustizia come “criterio ultimo di condotta”.
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Giustissimo. Ho visto anche in altri Paesi (ma non europei) l’incidenza diretta della corruzione sullo sviluppo economico ed é davvero devastante. Vedremo come va a finire, ma gli Italiani dovranno giudicare chi, in realtá, fa melina contro una legge necessaria e improrogabile per un’assurda difesa delle malefatte passate (e future), creando impropri collegamenti – e veri e propri ricatti – con altre misure pur necessarie come una ragionevole norma sul divieto di pubblicazione delle intercettazioni e sulla responsbailitá, perlomeno disciplinare, dei giudici (a quella civile confesso di non credere, perché di fatto inapplicabile e, se applicata, paralizzante dell’azione giudiziaria).