Al posto del Sottosegretario Catricalà avrei evitato di rispondere alla eterna domanda sulla possibilità di un nuovo Governo Monti dopo le elezioni.  Affermando che “se occorresse non ci tireremmo indietro” ha detto una cosa abbastanza ovvia, e quindi inutile,  ma che si presta alle dietrologie così care ai nostri politologi e giornalisti. Qualcuno, amico o nemico, dirà ora: “Vedete? Tutti i dinieghi del Professore sono fumo, il suo principale collaboratore ha rivelato i suoi segreti pensieri”.  La  questione di un possibile Monti-bis  ha, in effetti, dilettato abbastanza l’estate ora finita, come un giochetto altrettanto banale quanto fastidioso. La questione, intendiamoci, è legittima e non certo irrilevante per il nostro futuro. In verità, si dovrebbe osservare che è ben povera una democrazia nella quale ci si debba affidare a un Uomo della Provvidenza, ma così è: quel che passa il convento in questo momento in materia di offerta politica è così francamente modesto (e in certi casi rabbrividente) che sperare in una continuità di un Governo che sta facendo bene i compiti di casa e ci rappresenta degnamente al di fuori, è particolarmente tentante, specie perché PDL e PD si guardano bene dall’impegnarsi a continuarne con lealtà – e senza se, ma e distinguo – l’opera risanatrice, per la quale del resto non hanno grande credibilità; e così non è solo Casini (che ha un interesse politico personale in questa ipotesi) a sostenerla, ma voci favorevoli si sono levate nel mondo economico, e a quanto pare vi si è unito lo stesso Prodi. Ed è evidente che per un Monti-bis tifano i principali nostri partner europei (e non solo) a cui non può che essere presente la raccapricciante esperienza del governi precedenti.

Questione legittima, dunque, e rilevante: l’aspetto irritante sta nel fatto che per sapere che succederà ci si rivolga allo stesso Monti, cercando di forzarlo a dire quello che, con ogni evidenza, non può e non vuole, o per dirla più chiaramente, non spetta a lui dire (e neppure a un Capo dello Stato al termine del suo mandato, che non può e non vuole certo ipotecare il futuro), come se un Monti-bis dipendesse dalla sua volontà e non da circostanze che sono al momento imprevedibili e comunque  da lui non dipendono: il risultato delle elezioni, beninteso, ma anche l’andamento dell’economia reale e la possibilità di un ripresa nel 2013. Credo che non vi sia un solo membro del Governo dei tecnici che non sappia che le circostanze in cui l’esecutivo è sorto e resta in piedi  (reggendosi su una formula inedita anche rispetto ai Governi tecnici del passato, che erano pur sempre sostenuti da una sola parte politica) sono del tutto eccezionali, nascendo da una situazione in cui una maggioranza di governo era giunta al capolinea senza che ne apparisse un’altra di ricambio. Chiedere dunque a Monti se “si candida” a restare a Palazzo Chigi è insieme vano e offensivo  per l’intelligenza e la serietà di una persona che abbonda del’una e dell’altra.

Alcuni, tra cui l’on. Alfano, osservano che se Monti intendesse “candidarsi” dovrebbe presentarsi alle elezioni a capo di una lista e farsi votare dagli italiani: lapalissiano! Ma Monti è persona troppo accorta per non sapere che se oggi, o più in là, si dichiarasse in questo senso (scegliendo per forza di cose una parte politica, fosse pure il Centro) perderebbe di colpo la sua migliore legittimazione, che è quella di essere persona “super partes” chiamata in circostanze di emergenza a raddrizzare il Paese, e brucerebbe ogni possibilità di un secondo incarico (e, meglio ancora, di una nomina al Quirinale) in qualità di garante della continuità di un’opera di governo e riformatrice che apparisse necessaria in futuro. E difatti Monti lo ha mostrato con chiarezza e una buona dose di ironia: a questo gioco non ci sta. Penso che alla mente gli sia presente l’esperienza di Ciampi e di Dini, che.  sperarono di restare a capo del governo dopo il periodo di emergenza a cui dovevano l’incarico, ma furono triturati dalla corporazione politica. Ciampi, rimpiazzato, con stupore e disappunto che egli stesso mi confessò nel gennaio1994, acapo della occhettiana “gioiosa macchina da guerra” si ritirò a Santa Severa e solo più in là fu ripescato come Ministro del Tesoro per un’altra emergenza legata all’allineamento ai criteri di Maastricht, e poi ascese al Quirinale come Presidente di consenso. Dini, per sopravvivere politicamente, dovette farsi il suo partitino, tenuto in vita dal “soccorso rosso” e in seguito ha fornito uno spettacolo non proprio decoroso di passaggi successivi da una parte politica all’altra, tornando alla fine nell’ovile berlusconiano da cui era partito. Ma Monti non è Dini.

Monti a casa, dunque? Ovviamente è tutt’altro che certo e dipenderà, come abbiamo detto più sopra, dall’andamento dell’economia e soprattutto dal risultato delle elezioni: un risultato che, specie non sapendo quale sarà la legge elettorale, è impossibile prevedere oggi, nonostante i  sondaggi, ma che grosso modo può essere di  tre tipi: o vince, ed è in grado di governare, l’improbabile alleanza Bersani-Vendola, o l’altrettanto improbabile alleanza PDL-Lega; o non vince e non è in grado di governare né l’una né l’altra senza l’apporto di un centro che avrà come asse l’UDC, e allora non è difficile immaginare cosa chiederà Casini; per non parlare di una quarta ipotesi, matematicamente non impossibile: che non si possa formare nessuna maggioranza sufficiente, neppure con l’aiuto del centro, e allora sarà inevitabile una riedizione della “grande coalizione”, con Monti a Palazzo Chigi o al Quirinale (non credo invece all’ipotesi Passera: al Ministro dello Sviluppo Economico mancano caratura interna e prestigio internazionale sufficienti e, se vuole rimanere in politica, come taluni sospettano fondandosi su una sua sovraesposizione mediatica, dovrà scegliersi un partito e candidarsi alle elezioni, a meno che non voglia farsi anche lui il suo, ennesimo, partitino personale).

Le incognite, è appena il caso di sottolinearlo, non finiscono qui: ci sarà da valutare il reale impatto della ribellione di Matteo Renzi, che mi sembra buona parte dei politologi e della stampa tendono a liquidare con troppa facilità. Si può diffidare finché si vuole del Sindaco di Firenze, e riconoscere che il “giovane e il nuovo” non sono  di per sé soli sinonimi e garanzie di buon governo, ma se quest’operazione alla Tony Blair riuscisse, ci sarebbe nella sinistra una ventata di aria nuova che rimescolerebbe le carte anche al centro e a destra. È perciò vano anticipare ora scenari tanto variabili, o prestare ad una o all’altra parte disegni consociativi che non credo abbiano al momento seria consistenza.

Per la salute della democrazia, c’è da sperare che una maggioranza si formi, purché però sia in grado di governare con serietà ed efficacia con un programma non di parte. Se così non fosse, meglio proseguire con la presente formula, magari riveduta e “politicizzata” con la partecipazione diretta al governo di esponenti di partito. Non c’è nulla, proprio nulla di male, ad auspicare un’ Italia governata da una coalizione di forze con un serio programma di centro, se questo richiedono il bene d’Italia e il futuro dei nostri figli. E, in questo caso, evitiamo per favore di ritirar fuori  la brutta, volgare definizione di “inciucio” per quella che sarebbe, dopo tutto, una non ignobile mostra di responsabilità di fronte al Paese.  Un Paese che soprattutto questo chiede oggi alla Politica: serietà, responsabilità, correttezza personale e pubblica, spirito di servizio e capacità di collaborazione nell’interesse superiore dell’Italia. Ci sono momenti in cui è giusto che governi una parte, portatrice di distinte e distintive idee e ideali; e ci sono momenti in cui è bene che governi il buon senso, e gli sforzi dei più si coalizzino per il bene comune; non è detto che questo momento finirà nella primavera del 2013.

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