Il sito dell’Osservatorio Siriano per i Diritti umani dispone solo di una lingua alternativa: l’inglese. Se vi clicchiamo, veniamo rimandati direttamente alla pagina Facebook, che aggiorna costantemente il numero delle vittime del regime di Bashar Al Assad. Il bilancio è di circa 20 mila morti tra soldati regolari e civili. Da una parte, il social network informa sui costi umani delle rivolte in Siria, dall’altra le Nazioni Unite, presenti nel paese con il proprio inviato Brahimi, si ritrovano sempre più paralizzate: non solo perché l’intervento auspicato sarebbe di difficile gestione ma soprattutto perché Russia e Cina (membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto) continuano ad essere contrarie all’azione dell’Onu. La situazione è delicata, la Siria si ritrova nel coacervo di interessi economici e strategici di Russia e Cina; entrambe le potenze sembrano non condividere l’ingerenza delle Nazioni Unite negli affari del paese, ritenendo che la Siria abbia bisogno di un cambiamento politico, non di interventi militari tesi solo a peggiorare la situazione.
La Siria, per tutti coloro che credevano nell’ispirazione democratica della Primavera araba, rappresenta una ferita aperta e dall’incerta guarigione. Dopo l’eclatante uccisione dell’ambasciatore statunitense Stevens, i paesi protagonisti del rilancio democratico non si sono adeguati di certo al modello politico e occidentale che tutti speravano: al contrario, hanno dato voce liberamente ai propri equilibri interni che si sono risolti a favore dei partiti islamisti. Ora, anche altri paesi vogliono potersi esprimere in tal senso. Il popolo siriano non è più d’accordo nel sostenere Assad che è stato autore sin dall’inizio del suo mandato di una politica fortemente contraddittoria, capace di isolare la Siria. I rapporti con gli stati filo-americani e filo-israeliani si sono deteriorati, con questi ultimi soprattutto a causa del sostegno di Hamas l’organizzazione anti-israeliana e terrorista più invisa agli Stati Uniti.
Lo scontro Russia-Stati Uniti sulla questione siriana ci riporta indietro agli anni della Guerra Fredda, ma oggi il Medio Oriente non rappresenta solo una terra da conquistare ideologicamente, quanto una riserva di energia per l’avvenire. Si tratta di interessi vitali, eccezion fatta per le basi militari russe presenti nella regione siriana; l’avvicinamento russo-cinese si fa sempre più concreto, anche alla luce della risposta del Segretario di Stato statunitense Hillary Clinton che ha definito il veto apposto dai due paesi come ‘disprezzabile’. Gli Stati occidentali sono sempre più marginali e ciò è dimostrato dal fatto che Russia e Cina hanno preferito smarcarsi dalle posizioni della Nato portando la questione siriana in seno all’Organizzazione di Shangai per la Cooperazione (Kazakistan, Cina, Kirghizistan, Tagikistan, Russia Uzbekistan). La giovane organizzazione (istituita nel 2001), potrebbe costituire un contraltare alla Nato nel caso in cui questa prendesse, come di fatto sta facendo, decisioni che vanno contro gli interessi russo-cinesi. Che ne sarà di questa parte del mondo che è la fonte dell’energia di cui l’Occidente non può fare a meno? Quello che è certo è che, al momento, la realpolitik pare si stia spostando da New York a Shangai.
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È più che evidente che Russia e Cina, col cinismo proprio di quei dirigenti, continuano a sostenere contro venti e maree il regime di Assad per i loro interessi strategici (per la stessa ragione continuano a paralizzare ogni seria azione contro il nucleare iraniano). Però, francamente, non parliamo di politica contrapposta della NATO. La NATO (ci ho lavorato per 10 anni) è varie cose, ma certo non un centro di politica economica dell’Occidente. D’altra parte, non credo che, nel loro intimo, le principali potenze occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti, siano disposti a un intervento militare, sia pure sotto le bandiere dell’ONU, che sarebbe estremamente arduo da realizzare (la Siria non è la Libia). E forse qualche organismo di tali Paesi si sta chiedendo se quel che succederebbe ad Assad, al segno del fanatismo di Al Qaeda, non sarebbe peggio dello stesso Assad. E tuttavia, la situazione ha una sua dinamica che sfugge in parte al controllo esterno e non è pensabile che Assad possa restare ancora a lungo al potere in un Paese in via di sfacelo.