Li hanno visti aggirarsi nei corridoi di Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa di Milano. Qualcuno li ha notati bivaccare addormentati negli studi tutto “carte e mozziconi” sulle più importanti scrivanie della finanza italiana. Qualcun’altro invece li vorrebbe a tutti i costi, perché chiunque riuscirà ad “acciuffarli” potrà dare una scossa all’albero del potere finanziario italiano.
Sono i pacchetti azionari di Eni, Generali e Mediobanca. I “pacchetti eccellenti in cerca di compratori”, come li chiamava La Repubblica qualche giorno fa.
In alcuni casi si tratta di vendite obbligate per concentrare le attività sul core business aziendale. In altri, vendite dettate dalla normativa o dalle disposizioni dell’Authority per il mercato e la borsa (Consob). I pacchetti che scottano parlano dell’1,6% di Eni (dopo l’1,7% collocato qualche giorno fa) che la Cassa Depositi e Prestiti deve dismettere all’interno del riassetto di Snam Rete gas, dopo lo scorporo del giugno scorso. Dalle prime indiscrezioni sulle tracce di Eni ci sarebbe Qui-Qatar Investment Authority, il fondo di investimento sovrano che gestisce i surplus dell’oil&gas di Stato e che già nelle scorse settimane aveva acquistato 600 milioni di quote della più importante azienda italiana, l’Eni appunto.
Altro pacchetto che scotta è quello di Fondazione Monte dei Paschi di Siena: un 2,8% dell’omonimo istituto toscano che porterebbe la Fondazione di riferimento dal 36,3% del capitale totale al 33,5 del monte titoli complessivo. Una scelta quasi obbligata, quella di Profumo, a capo della banca senese dall’aprile scorso. Già perché, dopo la bufera del caso Antonveneta e la vendita obbligata di 400 filiali, la cura dimagrante e il calcolo dei passivi Mps sembra dover passare necessariamente proprio dal mercato, e perciò dalla cessione dei titoli. Sulle orme del Monte de Paschi ci sarebbe il colosso inglese Hsbc, un socio grosso, scomodo e indipendente con una forza commerciale straordinaria che da qualche giorno ha messo i piedi nella capitale senese.
Di diversa natura invece la partita per Mediobanca. La banca d’affari milanese sembra infatti intenzionata a vendere il 3,2% della quota detenuta in Assicurazioni Generali, l’altro dei salotti che contano dell’Italia a nove zeri. La banca di piazzetta Cuccia scenderebbe perciò dal 13,2% di oggi al 10%, rimanendo tuttavia uno dei soci di riferimento più importanti. Una scelta, quella di Mediobanca, che arriva come un lampo in un periodo di eccessiva turbolenza mediatica che ha esposto – e non poco – la banca di Cuccia alla gogna pubblica: dal caso Unipol-Fonsai, ai giochi di forza in Pirelli al ricambio dei vertici in Generali. Una strategia finanziaria, quella di Alberto Nagel, che in Mediobanca la fa da padrone (è amministratore delegato) che sembra andare nella direzione di una diluizione di peso nel panorama delle sue partecipazioni, in linea anche con Basilea 3. Mediobanca, inoltre, starebbe per ricollocare anche il 3,83% di Unipol-Fonsai dopo che, nella battaglia estiva con i Ligresti e i finanzieri di Sator e Palladio (Arpe e Meneguzzo) il management milanese si era esposto a favore delle assicurazioni emiliane per la vendita del patrimonio dei Ligresti in Premafin e in Fondiaria Sai.
Dello stesso avviso sono anche la Banca d’Italia e Unipol-Fonsai, anch’esse in odore di vendita rispetto a importanti pacchetti azionari tenuti nel fortino: la Banca d’Italia, che a breve incorporerà l’ISVAP (Autority di controllo delle società assicurative) venderà il 4,50% delle azioni detenute nel capitale del Leone di Trieste (le assicurazioni Generali, evitando un chiaro caso di conflitto di interessi). Unipol Fonsai, invece, starebbe anch’essa per vendere l’1,07% delle sue quote in Generali e il 3,83 delle sue azioni in Mediobanca.
A tutto questo puzzle, infine, si aggiunge Leonardo del Vecchio, il patron del colosso italiano degli occhiali, Luxottica. Dopo i fuochi d’artificio di aprile e il valzer in Generali – quando “Leonardone” abbandonò sbattendo la porta al salotto di Trieste salvo poi rientrarvi da protagonista – Del Vecchio ha da poco messo sul mercato il 7% del gioiellino degli occhiali vedendosene comprare appena il 3,8% e acquisendo di fatto solo 486 mln di € che gli serviranno – qualcuno dice – per acquistare nuovo e maggior peso nel capitale delle Generali, da sempre “cruccio finanziario” del patron dei Ray-Ban.
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