Diceva Elsa Fornero qualche sera fa a Ballarò, in maniera velata ma col piglio del “barone in cattedra”, che il Governo che succederà l’esecutivo Monti alla guida del Paese «avrà non solo il dovere ma soprattutto l’obbligo di tenere “dritta la barra”».
Un compito doloroso – spiegava Fornero – perché come tutti ormai sanno, tenere dritta la barra significherà, nei prossimi mesi, niente poco di meno che «proseguire l’azione del Governo attuale nel solco dell’Agenda Monti», con nuovo rigore di bilancio, una più acuta spending review, una seria lotta all’evasione e il pugno duro con le mafie, i papaveri e le ingiustizie di Stato.
Insomma, alla classe di studenti del 2013 il Ministro del lavoro raccomandava la bacchetta sempre alta e un orizzonte altrettanto chiaro: un’Italia sana, in grado di attrarre capitali e di trasformarsi da mastodonte malaticcio a spazio dove fare industria, rilanciare il talento e godere di amministrazioni efficienti (una cosa genuina e normale).
Una bella lezione di saggezza, quella del Ministro Fornero. Peccato che dall’altra parte della tv non ci fosse solo la platea degli aficionadosdi Giovanni Floris ma anche, e soprattutto, decine e decine di persone che da tempi non sospetti la pensano esattamente allo stesso modo e che, ognuno per proprio conto, quotidianamente e silenziosamente qualcosa fa per tenere alta l’asticella della produzione, buona la ricerca scientifica, dura e forte l’azione per invertire le statistiche che da anni di confinano in caduta libera.
Decine di persone, dunque, per cui tenere dritta la barra è da sempre un modus operandi e per cui alleggerire lo Stato dal gravame di una politica asfittica sarebbe il risultato di pochissime giornate di Governo. Gente per cui, la barra dritta vuol dire affrontare l’economia e la crescita con quel guizzo di libero mercato necessario per smaltire i carrozzoni dalle spalle dei contribuenti. E dunque: il Coni alle federazioni nazionali (che a loro volta si nutrono di introiti privati), la Sace e la Simest nelle mani dell’industria del credito e dei Confidi, le Poste ad operatori privati, l’Alitalia alla “mano invisibile” di Smith, Cinecittà agli operatori del settore e la gran parte del sottobosco municipale alla “gara di evidenza pubblica”.
Gente del tutto normale, quella dell’audience di Floris. Professionisti, accademici o semplici imprenditori che hanno capito, senza troppi indugi, che il patrimonio pubblico di qualità non va regalato al miglior offerente e che le aziende davvero strategiche per il Paese (la difesa, il militare e l’hi tech) vanno messe al sicuro dalle scorribande degli hedge found, dai petrodollari e dagli yuan sempre più aggressivi.
Gente anche troppo capace, infine, che si è accorta che anche dall’impresa italiana possono nascere policy intelligenti per il Sistema e da lì prender corpo quelle attenzioni alle partecipazioni di Stato in grado di mantenere la paternità tricolore su un mercato a questo punto più libero e più dinamico.
Tenere dritta la barra, allora, è per tutta questa gente un Parlamento di persone e professionisti seri, in grado di capire come si ostacola il regresso, quali sono gli antidoti e quali i modelli culturali per una globalizzazione sempre più galoppante che rischia di lasciarci a piedi e di smarrire il tracciato delle nostre origini, fatte di europeismo e di identità locale.
Per fare tutto ciò, però, ai telespettatori di Ballarò servirà un pizzico di coraggio e tanta passione. Staremo a vedere se qualcuno ne avrà trovato un po’ di più e se la Fornero avrà finalmente capito che, dall’altra parte dello schermo, questa volta si fa sul serio.
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