Roma – Palaexpo ha dato il via per le Scuderie del Quirinale alla quarta collaborazione con Mondomostre con Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese fino al 20 gennaio. Oltre all’organizzazione di Mondomostre di qualità indiscussa, che vede in questo caso come curatori Arthur Wheelock, Walter Liedtke e Sandrina Bandera, è unica l’occasione di ammirare una retrospettiva simile, efficace nel contestualizzare Johannes Vermeer, il protagonista indiscusso. Si apre quindi la possibilità di apprezzare otto delle trentasei (forse trentasette) tele comunemente riconosciute come veermeriane, affiancate da una cinquantina di dipinti di artisti a lui contemporanei, quali Gerard ter Boch, Pieter de Hooch e Gabriel Metsu, collegati tra loro da interessi comuni e reciproche influenze.
Tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo l’Olanda protestante, libera da poco dall’occupazione della Spagna cattolica, conosce il periodo di maggiore benessere economico e culturale. Le mire espansionistiche la portano a divenire una potenza coloniale ed a imporsi sul mare con la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, e si viene così a formare una borghesia intellettuale e caratterizzata da evidente intraprendenza verso il commercio. È allora che il gusto del mercato, dato dalla domanda della borghesia, impone i dettami all’arte della pittura richiedendo opere di piccole dimensioni e di forte aderenza alla realtà.
L’esposizione si articola secondo uno sviluppo cronologico, ma soprattutto tematico, così da delineare l’ordinata etologia olandese dell’epoca attraverso una modalità di rappresentazione rigorosamente descrittiva. I dipinti esposti autodeterminano il proprio contesto e permettono ad un qualsiasi visitatore di comprendere con facilità il percorso scandito da eleganti pannelli multicolori ideati da Lucio Turchetta.
Le opere esposte risalgono al periodo 1650-1670 e raffigurano principalmente interni privati, grazie ai quali è possibile seguire la crescita artistica e culturale del maestro, abile nel creare nei ventidue anni d’esercizio un proprio stile ben identificabile. Nel solco dei “Fijnschilders” – pittori che lavorano “in finezza” e rappresentano la vita d’ogni giorno con estrema veridicità – Vermeer opera la propria svolta stilistica ne La lattaia (1658-1661), dove la resa di luce e materia conferiscono assoluta naturalità alla visione.
I quadri dapprima appaiono indubbiamente assimilabili ad i successivi quadretti di genere del veneziano Pietro Longhi e dell’inglese William Hogarth a causa di alcuni elementi non trascurabili, come la ripresa della vicenda di vita quotidiana dipinta in tele affisse alle pareti dell’ambiente raffigurato ed il taglio a tratti didascalico-moraleggiante. In seguito, per azzardo, la ricercata naturalità del momento potrebbe essere vista come un impressionismo ante litteram. Inoltre, non è da escludersi l’utilizzo di un banco ottico per dare maggior precisione ai dipinti, di cui probabilmente l’artista si serviva per dipingere direttamente senza disegni preparatori.
Le tele ritraggono vere e proprie scene teatrali messe a punto da Vermeer, dove è possibile distinguere la predilezione per soggetti femminili, elementi ed oggetti ricorrenti: la luce proviene sempre da una finestra posta a sinistra, tessuti e tappeti preziosi, a volte tendaggi equivalenti di sipari, perle atte a simboleggiare la purezza, la presenza persistente di alcuni quadri e cartine geografiche. Il pittore lascia dunque entrare lo spettatore nell’intimità del proprio studio e gli permette di posare il proprio sguardo indiscreto sulle sedie ornate da teste leonine e su quei tessuti testimoni del padre tessitore, ma anche locandiere e mercanti d’opere d’arte. Johannes Vermeer si racconta attraverso i propri dipinti e gli oggetti parlanti raffigurati, biografia di un uomo che si fonde con la propria pittura.
© Rivoluzione Liberale

Mi piace il taglio di quesa presentazione della mostra , la contestualizzazione degli agli artiisti ed iriferimnti alla pittura del ‘700 a Vnezia.