La pubblicazione “a mercati ancora aperti” dei dati trimestrali (un errore della RR Donnelley, società che si occupa di inoltrare i dati finanziari delle aziende quotate) è costata al colosso Google una perdita istantanea dell’8%, nella giornata dello scorso 18 ottobre.
Secondo i dati prematuramente comunicati, Google ha chiuso il terzo trimestre del 2012 con un utile netto inferiore del 20% alle previsioni degli analisti. I ricavi, tuttavia, sono balzati dai 7,51 miliardi di euro dello stesso trimestre 2011 a 11,3 miliardi, un aumento del 45% in un solo anno.
La spiegazione degli utili minori alle previsioni è intrinseca ai cambiamenti in atto nel mercato dell’advertising. Sebbene Google abbia realizzato un aumento del 33% sul numero di ads-click effettuati dagli utenti rispetto allo stesso periodo del 2011, molta parte di essi si è spostato sul mercato mobile, che è meno proficuo (di circa il 15% in meno) di quello tradizionale (i cari vecchi computer).
A ben guardare quindi, non solo Google ha avuto un incremento dei ricavi enorme, ma ha pure ottenuto un forte aumento della quota di visite sulle sue pubblicità, con sì un minor introito, ma legato alla struttura attuale del mercato mobile.
Ma allora per quale motivo il crollo immediato del valore in Borsa? Come molto spesso accade, il mercato si è mosso a “sentimento”. L’errore sulle tempistiche di pubblicazione ed i risultati inferiori alle aspettative hanno mosso a conclusioni affrettate e superficiali la maggior parte degli operatori, che in massa hanno venduto le proprie azioni della società determinando il calo nel valore.
Quello dello scorso 18 ottobre è stato un caso da manuale del cosiddetto “effetto annuncio”, ossia, come lo descrivono gli studi sulla finanza comportamentale, la reazione collettiva agli scostamenti dei dati rispetto alle attese, senza considerazione dei dati sottostanti, e fondamentali, di un’azienda.
Questo effetto annuncio fa parte di una serie, non molto nota ma ben studiata, di comportamenti irrazionali degli operatori economici, che spesso si muovono per emotività (euristica), pregiudizi, condizionamenti da esperienze passate ma scollegate dal nuovo contesto (ancoraggio) e conformità alle scelte della massa (effetto gregge).
Sono gli stessi comportamenti irrazionali che, ad esempio, spingono in alto il prezzo del petrolio quando le previsioni meteo annunciano possibili tempeste vicino a importanti piattaforme petrolifere, oppure causano la vendita dei titoli di uno Stato in base a cambiamenti socio-politici che non hanno nessuna certezza di impattare sull’aspetto economico di una Nazione.
Eppure, nella loro imperfezione, sono parte fondante del mercato libero. Ma una di cui spesso i libri di testo si dimenticano.
In fondo, l’economia è e sarà sempre, prima di tutti i modelli matematici, una scienza sociale. Ogni tanto ce lo ricorda, anche se non nelle modalità più convenienti.
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