“Michelagnolo che per anchora colorito non haveva, et conosceva il dipingere una volta, esser cosa difficile, tentò con ogni sforzo di scariarsi, proponendo Raffaello, et scusandosi che non era sua arte, et che non riuscirebbe, et tanto procedette ricusando, che quasi il Papa si corucciò. Ma vedendo pur l’ostinatione di lui, si mise à fare quel opera, che hoggi in Palazzo del Papa si vede, con ammiratione et stupore del mondo, la qual tanta riputatione gli arrecò, che lo pose sopra ogni invidia.” Così scriveva in Vita di Michelagnolo Buonarroti Ascanio Condivi, biografo ufficiale di Michelangelo, in merito alla committenza ricevuta da papa Giulio II Della Rovere di affrescare la volta della Cappella Sistina, che compie oggi 500 anni. Il 31 Ottobre 1512 Giulio II, dopo un banchetto organizzato in onore dell’ambasciatore di Parma e giureconsulto Bartolomeo Barattieri, svelava ai propri ospiti e a 17 cardinali per la prima volta gli straordinari affreschi michelangioleschi iniziati ufficialmente il 10 Maggio 1508.

E pensare che, come riporta il Condivi, il maestro non era intenzionato ad accettare l’incarico, in quanto reputava che la principal arte di lui, fusse (come veramente era) la statuaria” e del resto che la pittura fosse disciplina minore alla scultura. Arrivò pure a consigliare Raffaello come artista alternativo a sé, benché non provasse simpatia nei suoi confronti. La questione principale tuttavia era dovuta ad una vicenda precedente tra gli entrambi irascibili Giulio II e Michelangelo: nel 1505 il papa aveva commissionato all’artista aretino l’edificazione della propria tomba, ma a causa di invidie da parte degli artisti della cerchia papale, in particolare il Bramante, e di poca considerazione da parte del papa, nella primavera del 1506, il Buonarroti se ne andò da Roma, deciso a non farvi più ritorno. L’artista fu poi chiamato a Bologna il 21 Novembre 1506 dal medesimo papa per fondere un suo ritratto in bronzo per la facciata di San Petronio.

La richiesta era legata al fatto che l’affresco di Piermatteo d’Amelia, raffigurante un cielo stellato, aveva subito nell’estate del 1504 irreparabili crepe ed invasive riparazioni, quindi andava sostituito. Michelangelo Buonarroti si trova dunque ad affrescare nella “cappella magna”, nella quale tra 1481 e 1482 avevano affrescato Pietro Perugino, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli, Bartolomeo della Gatta, Sandro Botticelli, probabilmente Piero di Cosimo, ed il suo maestro di bottega Cosimo Ghirlandaio.

L’artista manierista, le cui abilità ed inventiva sono ineguagliabili, compie così un’opera unica, dove celebra appieno la “maiestatis pontificiae”, dotando di un’illustre sala di rappresentanza San Pietro. La figura umana, come specchio della bellezza divina e cosa più bella del creato, è raffigurata secondo la visione giovanile dell’artista toscano e trova massimo lustro. È riconoscibile già in pochi anni una certa evoluzione stilistica nel riquadro Separazione della Luce dalle Tenebre cronologicamente tardo considerando l’apparato della volta, dove la composizione è semplificata e la pennellata è più sommaria. Inoltre, il maestro instaura un’organizzazione spaziale rigorosamente razionale tramite l’impiego di membrature architettoniche, al fine di creare una maggiore illusione prospettica, al punto da conferire all’opera un realismo sconcertante. I colori sono poi particolarmente eccezionalmente accesi e cangianti, assimilabili a quelli presenti nella Sacra Famiglia, risalente all’incirca al 1504.

Per iniziativa della presidenza della Camera dei Deputati rimarrà aperta fino al 7 Dicembre la mostra organizzata dall’Associazione Metamorfosi e intitolata Michelangelo e la Cappella Sistina nei disegni autografi della Casa Buonarroti, localizzata a Roma in via del Seminario 76. L’esposizione offre al visitatore la visione di tredici disegni della Volta e del Giudizio Universale, ventisei opere, ed altri reperti, che, attraverso l’analisi per confronto con immagini odierne della Cappella Sistina, concorrono a delineare una visione unitaria dell’impostazione progettuale.

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