Ne hanno parlato entrambi i candidati alla presidenza americana negli ultimi dibattiti televisivi: l’indipendenza energetica degli Stati Uniti resta uno dei sogni nel cassetto condivisi da entrambi gli schieramenti politici.

Pur essendo così distanti, i percorsi ipotizzati dai due schieramenti per la realizzazione di un simile progetto, da essere quasi opposti (chi punta sulle rinnovabili e chi vuole rinforzare le fonti combustibili tradizionali), un punto d’incontro c’è, ed è quella silenziosa rivoluzione portata avanti dallo shale gas.

Si tratta di un gas naturale che anziché trovarsi in forma di giacimento unico, come il petrolio o il gas classicamente inteso, è racchiuso in particolari formazioni di rocce, frammentato e diviso in piccole “sacche” che necessitano di una particolare tecnica di estrazione, una perforazione idraulica definita fracking, che sbriciola le rocce e permette al gas di risalire in superficie.

Ne abbiamo sentito parlare, in termini generalmente dispregiativi per via del suo forte impatto ecologico, anche in Europa. In Francia chi proponeva un impianto nella regione del Bordeaux è stato deriso, in Italia hanno avuto molta eco articoli pseudo-scientifici che ricollegavano le tecniche di fracking con il terremoto in Emilia-Romagna. Ma in Romania ed in Polonia, che posseggono grandi giacimenti di shale gas, la questione è presa con estrema serietà. E lo stesso si può dire dell’America che, grazie a questa risorsa, potrebbe alleggerire il peso della politica estera verso il Medio-Oriente, e perfino diventare nel giro del prossimo decennio (secondo gli ultimi studi) un esportatore netto.

E’ chiaro come una tale rivoluzione modificherebbe non solo la politica estera degli Stati Uniti, ma anche la stessa scacchiera geopolitica dell’Europa e dell’Asia, diminuendo la dipendenza europea dal petrolio russo e rallentando gli investimenti petroliferi esplorativi nel Nord Europa in favore dei giacimenti di gas – meno costosi – in Polonia e Romania.

Non solo, il minore interesse degli USA nei confronti del Medioriente potrebbe portare ad un cambiamento delle forze protagoniste nell’area, arrivando perfino a tradursi in un “cambio di leadership geopolitica”. In fondo, la Cina non è molto lontana.

Gli interessi in gioco sono enormi, tra gli obiettivi d’indipendenza energetica, le pressioni delle lobby petrolifere che anno dopo anno perdono profitti e potere, le aspirazioni più o meno velate di colonialismo energetico delle Nazioni rampanti, e l’ostruzionismo dei gruppi ambientalisti che temono gli effetti, ancora poco studiati, della distruzione di fasce di rocce proprio sotto ai nostri piedi.

Eppure, quella del gas non tradizionale è una strada che verrà percorsa nei prossimi anni, per rispondere alle sempre crescenti richieste energetiche mondiali, laddove le energie pulite – pur non dimenticate – non possono ancora offrire il sogno di indipendenza che lo shale gas già oggi promette. 

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