“Il monumento dall’1 novembre al 31.03.2013 aprirà ogni ora a partire dalle 9 alle 13.” Così recita l’avviso affisso alla cancellata del sito archeologico puteolano dell’Anfiteatro Flavio, che si presenta ai visitatori ignari. Questa è la decisione, dovuta alla mancanza di personale di vigilanza, presa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, tuttavia non riportata sulla pagina web delle prenotazioni ed in disaccordo con tutti gli altri siti en plein air che di norma chiudono al tramonto.
La struttura è inoltre colpita da un degrado che sarebbe discutibile anche per gli intellettuali del Romanticismo ottocentesco, amanti delle rovine gotiche. Qui però la gloria romana è difficile da scorgere: la maggior parte delle gradinate è inagibile, l’impianto di illuminazione è in tilt, gli spalti di legno posizionati negli anni ’80 risultano marci in numerosi punti. Di conseguenza, è possibile visitare solo un terzo del complesso monumentale, e quando piove, nemmeno quello, in quanto la parte dei sotterranei rischia ad ogni pioggia l’allagamento.
L’anfiteatro, per grandezza terzo solo al Colosseo ed all’anfiteatro di Capua, è stato edificato nel I secolo d.C. per volere dell’imperatore Tito Flavio Vespasiano, a seguito della guerra civile contro Aulo Vitellio Germanico, suo avversario nell’ascesa al trono. Pozzuoli si era infatti schierata dalla parte di Roma con la potente flotta di Miseno. A lustro dell’opera costruita, su tutti gli ingressi, quattro principali e dodici secondari, è stato fatto scrivere: Colonia Flavia Augusta/puteolana pecunia sua (“la Colonia Flavia Augusta costruì a proprie spese”).
Esisteva già un anfiteatro, ma non era adeguato ai bisogni di una città in crescita demografica, urbanistica e commerciale, porto principale romano, fino all’edificazione di Ostia. Il nuovo complesso poteva dunque ospitare 20.000 spettatori ed essere l’ambientazione ideale per venationes (“cacce con le fiere”), eventi politici o militari accompagnati da parate, battaglie tra gladiatori. Un sistema sotterraneo, tuttora visibile, di botole, argani ed ingranaggi permetteva poi l’entrata di bestie feroci e l’apparizione coreografica di personaggi nell’arena.
Non si tratta di un episodio di scempio isolato nei Campi Flegrei. Lo Stadio di Antonino Pio, per il quale sono stati spesi otto milioni di restauro, è stato inaugurato nel 2008, una volta riportato alla luce, tuttavia non è mai stato aperto alle visite per mancanza di un progetto di gestione. È il caso poi del Macellum, ovvero del mercato pubblico, considerato erroneamente Tempio di Serapide, area ormai da quattro anni di acquitrino e melma, regno di rane e rospi, che si annuncia con pungente maleodore nelle abitazioni, nelle attività commerciali e nei ristoranti circostanti; ciò è causato da pompe idrovore non funzionanti. Infine, vi è lo straordinario quartiere del Rione Terra, che è stato evacuato forzatamente il lontano 2 Marzo 1970 a causa dei moventi bradisismici e mai più restituito alla cittadinanza da allora; i lavori di cantiere sono stati poi interrotti ad inizio 2012 e gli oltre cento operai che vi lavoravano sono stati mandati in cassa integrazione.
Oltre alla carenza di fondi ed ai tagli al settore della cultura sempre più significativi, la cittadina della provincia partenopea, dotata di un sommo potenziale turistico, si vede oggetto di malgoverno e di crollo nel numero di presenze. L’associazione Albergatori dei Campi Flegrei si è mobilitata, come alcuni turisti francesi indignati ed i cittadini con numerose manifestazioni, ma la denuncia e l’informazione sono solo un punto di partenza, a cui deve seguire un intervento efficace al declino, all’incuria ed agli sprechi.
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Sarà un altro “scandalo” che farà notizia sui giornali per giorni e che poi tutti si dimenticheranno? Quando si potrà avere in Italia una seria politica di recupero e attenzione dei nostri Beni Culturali in degrado? Non ci rendiamo conto che una enorme fetta di economia nel nostro paese si fonda proprio su questi beni? Cosa sarebbe il napoletano senza Pompei? Cosa sarebbe Roma senza le sue meraviglie di colonne e archi romani, senza il Colosseo?
Ci vuole informazione e attenzione e magari aprire ai privati la partecipazione alla gestione di alcune opere.
E bisogna fare in fretta, prima che sia troppo tardi, prima di tornare ad elemosinare fondi in europa e sentirci lo zimbello del mondo per questo continuo, assurdo, disinteresse per il patrimonio artistico.