Nel 2008, all’alba della crisi, il Governo cinese dava il via ad una politica monetaria espansiva massiccia, pompando liquidità dalle casse delle banche nazionalizzate al settore delle imprese, per mettersi al riparo dalla disoccupazione, dalla possibile stagnazione e da un’improbabile recessione. Questo stimolo imponente avrebbe dovuto prolungarsi per un anno, due al massimo; invece, ancora oggi, per il quarto anno di fila, le casse delle banche vengono gonfiate di un valore pari ad un terzo del Pil, per una cifra complessiva di 14mila miliardi di dollari (sette volte il debito pubblico italiano).
A seguito di questo doping eccezionale, i settori industriali chiave come l’acciaio, l’alluminio ed il carbone, stanno fronteggiando il problema della sovrapproduzione, dato il generale rallentamento economico globale, e dunque un’impennata del debito ed un crollo degli investimenti industriali. Le prime quattro acciaierie nazionali hanno un debito già superiore all’80% del loro valore in asset, con una quota di sovrapproduzione del 25%.
A complicare la situazione, il fatto che non siano solo le principali banche ad essere nazionalizzate, ma anche le principali industrie che ora si trovano in difficoltà. Sommando il debito pubblico, quello privato e quello industriale, si sfiora la quota del 206% del Pil. E tutta questa bolla di debito sta tornando verso le casse del suo originario creatore, lo Stato.
La trasformazione dei debiti “buoni” (solubili) in “cattivi” (insolubili), una quota che si attestava al solo 2% del totale nel 2011, è salita al 3% nel primo semestre 2012 ed è stimato che crescerà, con trend accelerato, fino al 5% nel 2013.
La politica economica che ha stabilito l’enorme afflusso di denaro statale nelle banche e quindi nelle aziende non ha saputo distinguere le aziende cui rivolgere la liquidità – che invece è stata riversata trasversalmente su tutti i settori produttivi – non ha indirizzato con precisione le risorse ma è andata a sostenere la produttività di settori che hanno perso in termini di export e di domanda.
Se una di queste grandi industrie o banche nazionalizzate dovesse fallire, con essa potrebbe scoppiare l’immensa bolla, ed allora ci troveremmo davvero davanti ad una nuova Lehman Brothers.
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