Ricorre in questi giorni il centenario del ritrovamento del rinomato busto di Nefertiti: il 6 Dicembre 1912 venne scoperto da una spedizione con a capo l’archeologo ed egittologo tedesco Ludwig Borchardt. Borchardt scoprì infatti nella città imperiale di Amarna (odierna El-Amarna) il reperto, fino ad allora rimasto sepolto da detriti, all’interno della bottega dello scultore Thutmose. L’anno dopo trasportò Nefertiti al Neues Museum di Berlino, dove è tuttora, e le diede l’opportunità di divenire un’icona globalmente riconosciuta.
L’opera, che ha permesso di eternare la figura di Nefertiti, risale al 1340 a.C. circa e costituisce un modello incompiuto previsto per una statua successiva mai realizzata. Essa, grazie all’abilità dello scultore ed alla bellezza della regina, è implicazione ed esplicazione della figura dell’illustre Nefertiti, donna intelligente e bellissima dalla forte personalità ed dall’importante ruolo politico-religioso, tanto da porsi al pari delle icone pop del XX secolo.
Il manufatto risulta dato da un blocco di pietra calcarea ricoperta da strati di stucco di vario spessore, finemente dipinto ed impreziosito da lamine auree, calcedonio, malachite e lapislazzuli. La sovrana è così rappresentata truccata, secondo la maniera dell’epoca, e con un alto copricapo blu effigiato del doppio serpente aureo, simbolo della sovranità sulle Due Terre, l’Alto ed il Basso Egitto.
Nefertiti (“la bella che è giunta”), vissuta alla fine della XVII dinastia tra il 1366 ed il 1338 a.C., affiancò vivamente il marito Amenophis IV, con i quale guidò una rivoluzione religiosa e culturale. Infatti, la nuova coppia impose il culto monoteista del Dio Aton, il dio del Sole, sottraendo dagli onori religiosi il clero particolarmente devoto ad Amon. Questa scelta comportò quindi la fuga da Tebe, capitale dei due regni, e la fondazione di una nuova: Akhet-Aton (“Orizzonte di Aton”), dove Nefertiti cambiò il proprio nome in Nefer-neferu-aton (“perfetta è la perfezione di Aton”) e Amenophis (“pace di Amon”) a Akhenaton (“Aton è soddisfatto”).
Il cambiamento in costumi e religione, considerato frutto di eresia, comportò una rivoluzione nell’arte egizia, che vide il passaggio dall’arte simbolica a quella realista. Da ciò si può considerare le rappresentazioni di Nefertiti, in particolare il busto considerato, specchio della reale bellezza della sovrana; anzi vi sarebbe un ritratto meno perfetto e più realistico sottostante quello a noi visibile, tuttavia ricoperto per preferirlo ad uno più adatto ai canoni di bellezza del tempo. Lo stesso Dio Aton, da uomo con la testa di falco, venne raffigurato poi da un disco da cui partono raggi di luce terminanti in mani portatrici di vita.
A celebrare il carisma di Nefertiti, vi furono rappresentazioni di lei a svolgere atti da faraone, come consacrare le offerte e punire i nemici, maneggiare lo scettro, guidare il carro e ricevere direttamente i raggi del Sole, o ancora col marito amato con valenza rituale, come figure indissolubili che testimoniano un rapporto diretto con il Dio Aton. I due conobbero dunque un periodo d’oro per l’Egitto, che lasciò i sudditi influenzati dalla bellezza e dallo sfarzo faraonico, ma che terminò improvvisamente.
Dal 2009 il restauro del museo berlinese ad opera di David Chipperfield ha dato una nuova sistemazione alla scultura, la North Dome Hall esclusivamente dedicata ad essa, senza sottrarla dalle richieste sempre più insistenti del Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie Zahi Hawass, che vorrebbe il ritorno di numerose opere egiziane, ma soprattutto del busto di Nefertiti. La disputa rimane aperta con il Neues Museum, centro dell’Isola dei Musei Berlinesi, appoggiato dal governo tedesco, non disposto a privarsi dell’opera nemmeno per un breve prestito.
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