Le primarie che si stanno svolgendo in Italia sono da considerare un’esperienza positiva perché è sempre cosa buona e giusta far partecipare i cittadini alle scelte della politica. Ogni forma di partecipazione è salutare per la democrazia, una democrazia che in Italia è affetta da un male costituito proprio dall’assenza di partecipazione e dall’assenza di trasparenza su ciò che avviene nei palazzi del potere.
C’è però da mettere in luce che stiamo assistendo ad un modo subdolo, dal punto di vista istituzionale, di far passare la scelta del capo di una coalizione attraverso le primarie come la scelta del capo del futuro governo. Infatti tale scelta, com’è noto, nel nostro ordinamento costituzionale è riservata al Presidente della Repubblica a seguito di consultazioni con tutte le forze politiche presenti in Parlamento.
I media, da parte loro, non contribuiscono a chiarire i termini di queste questioni, ingenerando confusioni e attese gradite ai sostenitori di un leaderismo di stampo bipolare che, di fatto, si sta incuneando all’interno delle istituzioni per scardinarle in assenza di tutta una serie di riforme costituzionali idonee a stabilire ex novo i pesi e i contrappesi presupposti all’introduzione di un diverso assetto istituzionale basato sul presidenzialismo.
Negli ultimi cento anni l’Italia ha conosciuto (e fatto conoscere al mondo intero) due esperienze di degenerazione della democrazia: il ventennio del fascismo e il ventennio della ineffabile egemonia mediatica di Berlusconi. Entrambe le esperienze si sono affermate attraverso un consenso plebiscitario in favore prima del “duce” e poi del padrone di Mediaset. Durante il ventennio fascista le voci contrarie al regime sono state fatte tacere mandandole al confino o in carcere. Durante il ventennio del berlusconismo l’isolamento delle voci contrarie è avvenuto in modo più “raffinato” perché realizzato attraverso una egemonia sugli strumenti di comunicazione.
Ora si parla inopinatamente di leadership, di leaders, di organigrammi e si sorvola su quale idea di futuro si vuole mettere al centro dell’azione politica. Ciò è veramente grave perché avviene mentre l’Italia è stata ridotta ad una barca che sta affondando. Infatti si parla poco di lavoro, di imprese, di economia, di coesione sociale, di istruzione, di sanità, di Europa, di Mediterraneo, di dimensione internazionale del Paese. E si parla poco di etica pubblica e di risanamento morale delle istituzioni in gran parte occupate tramite uno spoil system all’italiana che ha sacrificato il merito e premiato l’appartenenza ai partiti.
Anche i premi di maggioranza introdotti o da introdurre attraverso leggi elettorali in favore della minoranza più forte, vengono propinati in ossequio ai problemi della governabilità, ma in aperta violazione del principio una testa un voto.
Dove sono finiti coloro che chiamavano legge truffa i premi alla minoranza più forte?
In materia di sistemi elettorali è appena il caso di ricordare che Piero Gobetti era un “convinto fautore della proporzionale” e sosteneva che “Il collegio uninominale aveva corrotto il rappresentante in tribuno. Solo con la proporzionale gli interessi si organizzano, così che l’economia venga elaborata dalla politica.”
Abbiamo sempre saputo che la difficile arte della politica si esercita dimostrando di avere la capacità di fare sintesi anche fra interessi non omogenei. Invece abbiamo una classe politica che preferisce semplificare perché non vuole o non sa praticare l’arte della politica e l’arte del governo. Si intravede una grande “ammuina” che non sembra alternativa alle ambizioni e ai metodi dei vecchi e nuovi piraña dediti a spolpare lo Stato. Si corre per avere una delega a governare il Paese per cinque lunghi anni, una delega che viene intesa come una specie di investitura di tipo medievale. In pratica l’incarico di sindaco, o di governatore o di presidente del consiglio, viene cercato senza spendere una sola parola per dirci quali nuovi spazi saranno aperti alla partecipazione dei cittadini e delle comunità intermedie (partiti compresi). Ci sono candidati a cariche pubbliche che affermano di voler governare senza farsi influenzare dai partiti dichiarando di essere “sopra” i partiti. Ma allora perché, di fatto, si chiede e si accetta l’appoggio dei partiti o si annuncia la nascita di nuovi partiti? E’ importante ricordare che l’art. 49 della Costituzione così recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.” Se i partiti non adottano il metodo democratico nelle loro scelte e se i loro dirigenti si comportano, dentro e fuori dai loro partiti, come se gli incarichi conseguiti fossero investiture di natura medievale c’è poco da meravigliarsi della degenerazione della politica.
Che rapporto e quali incompatibilità si intendono statuire tra incarichi di partito e incarichi istituzionali?
I partiti nati nell’ultimo ventennio, alcuni di essi portano il nome e cognome del loro fondatore-padrone, sono spesso considerati un taxi per andare ad occupare i palazzi del potere. La gente nutre molta diffidenza nei confronti dei partiti. Ma tutti sappiamo che dei partiti non se ne può fare a meno. Il vero problema consiste nel risolvere le questioni riguardanti il loro finanziamento, il loro funzionamento interno, la loro trasparenza e il loro rapporto con le istituzioni. E questo problema lo si può risolvere solo dando attuazione all’art. 49 della Costituzione, attuazione che potrebbe favorire la riscoperta del valore dell’appartenenza ai partiti.

Tanto per ricordarlo a chi non ne ha memoria. La Legge Scelba n. 148-1953 (che passò alla storia con l’epiteto di legge truffa) assegnava il 65% dei deputati alla coalizione di liste che avesse superato il 50% dei voti, e non toccava minimamente l’assegnazione dei seggi al Senato, che restava proporzionale. Se pensiamo che il porcellum di oggi assegna alla lista o coalizione maggioritaria (senza necessità di superare una pur minima soglia di voti) il 54% dei seggi, quella legge del 1953 può essere considerata un esempio di democrazia liberale.Oggi i partiti dominanti in Parlamento stanno provando a confezionarsi su misura una nuova legge elettorale che sia al servizio delle loro presunte percentuali di voto, in modo da consolidare il loro potere ed impedire a chi è fuori dal Parlamento di entrarvi. Anziché un porcellum, avremo un porcellum e mezzo. Mi viene da pensare che, se la Corte Costituzionale avesse ammesso il referendum antiporcellum, avremmo già una legge elettorale (il mattarellum) che, se non perfetta, almeno sarebbe stata voluta direttamente dagli elettori, e nessuno avrebbe potuto recriminare. Un’occasione, questa, che i liberali hanno fortemente voluto e che è stata persa per la miopia di chi ha bloccato l’iniziativa referendaria.