Il Professore è pronto ad essere il leader delle forze moderate, liberali e progressiste qualora esse sposassero la sua Agenda “Cambiare l’Italia, riformare l’’Europa”; il suo nome non sarà comunque sulla scheda elettorale, tanto meno inserito nei simboli dei partiti che lo sosterranno. “Non ho molta simpatia per i partiti personali”, ammonisce il Professore, e aggiunge: “Mi interesserebbe invece molto di più che l’agenda Monti servisse a fare chiarezza e a unire gli sforzi”. Sono essenziali i “contenuti” e il “metodo di governo”. “Non ho e non avrei nessuna preclusione nei confronti di nessuno”, sottolinea Mario Monti, che si dichiara pronto ad incoraggiare le forze politiche che manifesteranno adesione alla sua Agenda per ‘cambiare l’Italia’, sostenendole, “se richiesto”, con la sua “guida”. “Sono pronto ad assumere un giorno le responsabilità che mi venissero affidate dal Parlamento”.
Un discorso proiettato verso il futuro quello sostenuto da Mario Monti nella conferenza stampa di fine anno. Parole ‘extra partes’ – come il Professore si è definito – ma dal retrogusto squisitamente politico. Parole in cattedra ma dall’estremo rigore logico e sostenute da una sicurezza istituzionale propria di un rispettabile statista. Il Professore, traendo la forza necessaria da una nota citazione di Alcide de Gasperi – “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni” – esprime con chiarezza la sua volontà di proiettarsi nel futuro, piuttosto che fare bilanci rivolti al passato.
L’ex premier appare in pratica come vuole essere, una personalità “non super partes ma extra partes”, fiero della sua terziarietà e, nel contempo, non disposto ad abbandonare il suo ruolo di senatore a vita per trasformarsi in un candidato. Il Professore mette però a disposizione la sua Agenda che egli definisce, non a caso, “uno schema logico di politiche da fare o da non fare nei prossimi anni” e ammonisce dicendo: “Il maggior costo per la politica sono le decisione non prese”. Pur non dichiarando la sua candidatura diretta, senza tentennamenti, afferma: “Se una o più forze politiche con credibile adesione a quest’agenda manifestassero il proposito di candidarmi a presidente del Consiglio, valuterei la cosa”.
Non si propone come un politico, e quindi come un possibile candidato, ma fa un discorso che ha un retrogusto politico, assecondando le regole del match (elettorale o meglio pre-elettorale). Attacca infatti gli avversari, coloro che lo avrebbero condotto alle dimissioni, esprimendo nei confronti del Cavaliere, in particolare, “gratitudine ma anche di sbigottimento” per certi atteggiamenti. “Faccio fatica a seguire la linearità del suo pensiero – sottolinea il Professore – un quadro di comprensione mentale che a me sfugge”.
Il Professore rimprovera quindi il Cavaliere a più riprese, tanto che Berlusconi si precipita in un salotto televisivo della domenica pomeriggio (non in casa sua) e appare nervoso, minaccia il conduttore di abbandonare la scena, esprime tutto il suo disappunto nei confronti di Monti e lo riattacca come si fa con vero ‘avversario’: “È un professore, non è mai stato nella trincea del lavoro e questo governo tecnico di errori ne ha fatti troppi”. “La sua agenda è piena di tasse. Voto a lui sprecato”, aggiunge il Cavaliere. Dall’altra parte Monti si chiede come il suo “predecessore”, come egli lo definisce, possa averlo immaginato a capo dei moderati se non condivide praticamente ‘nulla’ della sua linea politica. Berlusconi risponde al quesito in diretta tv, nel medesimo salotto televisivo, sostenendo che avendo le forze moderate bisogno di un leader che “le riunisca tutte”, Monti apparirebbe la persona giusta. Una scelta, quindi, dettata da esigenze di leaderismo e non sostenuta da una reale ‘aderenza ai contenuti’ del Professore.
Per Mario Monti, comunque, “le parole pesano anche in Parlamento e ne deve essere cosciente chi le dice e chi le ascolta”. Non si risparmia il Professore e utilizza la conferenza stampa di fine anno per fare un bilancio delle relazioni instaurate con le diverse parti politiche, non dimenticando di ringraziare il capo dello Stato. “È sempre stato prodigo di consigli discreti ma illuminanti per me e sull’azione di governo”, afferma Monti.
A proposito di riforme sostiene che “la riforma del lavoro è stata frenata da una componente sindacale che non vuole evolvere”, e poi torna all’attacco incalzando sulla giustizia: “Sulla giustizia meglio fare leggi ‘ad nationem’ e non ‘ad personam’”. Un attacco elegante ma non mascherato, proprio di chi non vuole nascondersi ma non ama mettersi in mostra. Un atteggiamento pacato, serio, non rimproverabile, istituzionale sarebbe il caso di dire; mai una parola fuori posto, ottimo ‘self-control’, tono di voce costante e mai alterato, sguardo limpido e diretto agli occhi e alla mente degli italiani. Mario Monti non ha risparmiato le sue parole ma le ha comunque misurate, sottolineando inoltre una sottile ma sostanziale scelta lessicale quasi per rimarcare, anche con essa, la distanza logica e politica che lo separa dal suo “predecessore”, ribadendo, nel contempo, la sua presa di posizione, pacata, non aggressiva, aperta al dialogo, poco commerciale, proiettata verso l’essere umano e non sostenuta da alcuna slide.
A tale proposito Mario Monti attacca di nuovo avvertendo i giornalisti presenti in sala e i cittadini-elettori che lo seguono in diretta tv da casa: “Immagino che presto altre conferenze stampa saranno inondate da grafici che daranno la percezione dei fallimenti del governo rispetto a 12 mesi fa e vi sarà anche detto che se oggi lo spread è metà del 9 novembre 2011 ciò non è dovuto alla politica economica italiana ma alle scelte della Bce”. E poco dopo, immaginando di essere di fronte all’avversario, come in un vero match (elettorale), difende l’operato del suo governo tecnico dicendo: “Avendo dovuto fare interventi come quelli fatti è normale che non ci sia già la crescita (…) gli italiani lo sanno, non sono sciocchi”. Monti elogia quindi l’intelligenza degli italiani e confida nelle loro ottime capacità di discernimento, anche di fronte alla scheda elettorale. Lanciando un altro colpo basso, sottolinea che la crescita viene generata “da una politica degna e forte”; con estrema convinzione e fierezza, aggiunge: “Per la crescita e per l’equità serve una nuova visione del ruolo della donna”. Ed ancora: “Per me sarebbe conveniente non fare assolutamente niente, ma è un imperativo morale, non una convenienza personale, tentare di contribuire a cambiare la cultura del Paese”.
Una sorta di esortazione alle varie forze moderate, liberali e progressiste (i cosiddetti “cespugli riformisti”) a formare una grande coalizione di Centro, moderata e aperta al cambiamento e quindi in grado di accogliere anche i più radicali. Questa grande coalizione centrista dovrebbe scardinare il vecchio sistema bipolare Destra-Sinistra sul quale il Cavaliere instaura quasi tutti i suoi discorsi, o comparse televisive, ribadendo puntualmente i suoi attacchi alla Sinistra (Sinistra è uno dei termini più usati dal Cavaliere); un sistema bipolare che invece Mario Monti dichiara di voler abolire definendolo “un asse ormai inefficace”. “Più che Destra e Sinistra” gli ingredienti del progresso sono “volontà di cambiamento e Europa”, afferma il Professore che svincolandosi, di nuovo, da qualsiasi epiteto dal sapore esplicitamente politico, o ancor peggio di parte, sottolinea: “La nostra agenda non è indirizzata al Centro, né alla Destra né alla Sinistra ma è un’agenda ‘erga omnes’”. Mario Monti esprime invece molto chiaramente l’invito a sposare le sue idee e i suoi contenuti; un invito che non è politico ma aspira a conferire alla Politica dei ‘contenuti’ e delle ‘idee’, la sua Agenda.“Chiunque trova titolo di interesse la consideri”, afferma.
“Servono idee che mi auguro siano condivise da ampie maggioranze in Parlamento”, ammonisce il Professore. Anche l’Europa guarda all’Italia di Monti con ammirazione e rispetto. “Per anni abbiamo avuto un governo che ha avuto serie difficoltà a far sentire la propria voce in Europa”, afferma il Professore rivolgendosi di nuovo al Cavaliere.
In definitiva, in questa fase così delicata, è però fondamentale definire un quadro più chiaro degli schieramenti e dei leader della grande coalizione centrista dall’esito ancora non certo. La chiarezza è un obbligo soprattutto in campagna elettorale, che invece (come auspicato dal capo dello Stato) si auspica sia “una campagna elettorale costruttiva” dall’esito certo: il pieno successo elettorale di tutte le forze “riformiste”, moderate, liberali e progressiste, predisposte a “cambiare l’Italia”.
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