E’ nell’aria ormai da qualche giorno e nessuno dei diretti interessati, dalle “immediate cerchie” di Moretti e Ragnetti fino agli uffici stampa e relazioni esterne delle società dei trasporti, ne hanno dato ufficialmente la smentita.
La partita è di quelle che scottano: Alitalia, il “carrozzone di bandiera”, operatore dell’aviazione civile a targa Italia, per anni ammortizzatore dei partiti della prima e seconda repubblica e dei poteri forti della Capitale, potrebbe finire nelle mani delle Ferrovie dello Stato, il monopolista della strada ferrata e tra le aziende più importanti dell’UE a 27.
Un po’ come se la Fiat si comprasse la Pirelli oppure la Coca Colale quote della San Pellegrino o della Pepsi. Insomma, siamo in procinto di un integrazione di mercato dal sapore antiliberale e dai tratti pericolosi, per il settore e per i servizi di trasporto italiani.
Alle porte del vettore di bandiera, infatti, lo stesso che da tempo manifesta evidenti difficoltà di bilancio, che da più di un mese denuncia 650 esuberi e che nel 2008, all’ombra del Berlusconi IV, sistemava a carico dei contribuenti la “bad company mangia debito”, si affaccia per la prima volta il competitor di mercato, le Ferrovie Italiane, da tempo spina nel fianco degli amministratori del “fabbricone” della Magliana.
Alitalia è quasi in vendita, dunque. Non è bastata la “cura Ragnetti” dell’ultimo miglio, la rimodulazione dei costi e la sistemazione a ribasso delle tariffe di viaggio. E non è bastata nemmeno la partnership con Air France, socio al 25% dal 2009, per imperniare di sana bontà gestionale il gruppo industriale della Roma dei partiti.
Il 12 gennaio prossimo scadrà il vincolo del lock up tra i soci della compagnia e, pertanto, i 20 industriali italiani che nel 2008 avevano investito nella società (1,1 mld di€) potranno cedere le loro azioni Alitalia. E qualcosa, dalle parti del vettore, fa pensare che in molti lo faranno.
Ai piani alti della Magliana – secondo indiscrezioni vicine al dossier – fanno i conti con almeno due prospettive: la prima è il rilancio di Cassa Depositi e Prestiti sul capitale della Magliana, la vera “mucca dalle mille mammelle” (parafrasando Geronzi nel suo ultimo libro, all’indirizzo del gruppo Le Generali), che potrebbe ergersi a prestatore di ultima istanza e acquistare Alitalia dalle mani dei “capitani coraggiosi” di CAI-Alitalia. Peccato, però, che dalle parti di Via Goito, dove è in atto la rivisitazione del modello industriale e di potere del secondo dopoguerra – l’IRI di Prodi e Beneduce – anche la CdP farebbe fatica a subentrare in Alitalia. Lo spaccato economico in cui sta vivendo è molto frammentato e la vede oggi da una parte in cerca di partner finanziari per le operazioni in cui è coinvolta (Snam, Telecom, Ansaldo Energia), dall’altra a supporto di Gamberale & Co (fondo F2i) nel business degli aeroporti, dall’altra ancora, con meno fieno in cascina dopo la partita a ribasso con le Fondazioni bancari edi Giuseppe Guzzetti (caso conversioni azioni privilegiate) che l’ha vista perdere quota nella trattativa con la finanza bianca milanese.
Dall’altra parte del campo, invece, ci sono le Ferrovie, mai come oggi centro strategico di interessi trasversali. A piazza della Croce Rossa, infatti, si mormora che proprio dai piani alti del palazzo potrebbe arrivare la nomina del prossimo Ministro dei Trasporti, quel Mauro Moretti dal 2006 Vicerè di Stato e capo indiscusso dell’intero gruppo della strada ferrata. Proprio Moretti, nei giorni scorsi ha espresso una disamina seria sul vettore di bandiera, mostrando in questo un’attenzione viva e una preparazione tecnica sul dossier Alitalia: “la compagnia può sopravvivere a condizione di cambiare il modello industriale. La finanza viene dopo. Dove c’è l’alta velocità, Alitalia si ritira. Anche dalla Roma-Milano. Le altre rotte, se interessanti, vanno affidate in gestione a vettori low cost trattenendo in capo alla compagnia le funzioni commerciali e strategiche. La flotta di Alitalia va quindi riallocata sul medio raggio tra grandi poli metropolitani, per esempio Napoli-Parigi, e soprattutto sul lungo raggio verso il Medio e l’Estremo Oriente, le aree del mondo a maggior sviluppo. L’intera catena logistica va quindi ridisegnata, sviluppando le stazioni ferroviarie e gli aeroporti intercontinentali con collegamenti assai più rapidi e comodi di quelli attuali. Si tratta di investimenti che FS può trovare convenienti avendo una forte partecipazione e adeguate funzioni d’indirizzo e controllo nella compagnia aerea, mentre oggi c’è un’Alitalia zoppicante che cerca accordi con la fragile Ntv, partecipata dalle ferrovie statali francesi che fanno ostruzione ai progetti di sviluppo delle ferrovie statali italiane in Francia”.
Un’integrazione pericolosa, dunque, quella tra Alitalia e le Ferrovie che avrebbe sicuramente un notevole impatto sia sulle casse di FS – e quindi sul Ministero del Tesoro e quindi, a cascata, sul fisco dei contribuenti – chiamata a sborsare centinaia di milioni di euro, sia sul bilancio dello Stato.
Una fusione per incorporazione molto costosa che avrebbe ripercussioni anche serie sulla nascente Authority dei Trasporti, tanto voluta dai liberali italiani, sostenuta dal Governo Monti e inserita dal Ministro Passera nel DL Liberalizzazioni (in realtà, però, rimasta sulla carta e in attesa del nuovo Governo).
Insomma, con Moretti a Ministro dei trasporti, l’Alitalia in salde mani pubbliche e con un Governo (stando ai sondaggi) di chiara inclinazione conservatrice (Bersani-Vendola), il mondo dei trasporti potrebbe incassare l’ennesimo colpo basso al mercato, con buona pace di quanti speravano nell’ondata liberale per slacciare il settore dei trasporti dai lacciuoli pubblici in cui è imbrigliato da circa una vita.
Un’Autorità debole e un gruppo industriale Alitalia-FS davvero padrone della “giurisprudenza e dei palazzi” non può che preoccupare l’universo liberale. In ogni caso, per il mondo dei trasporti e per l’Alitalia, la luce in fondo al tunnel non è ancora arrivata e il lock up dei soci della Magliana ha le ore contate.
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