Vorrei poter raccontare a mio figlio una nuova storia. Vorrei creare insieme a lui ed insieme a tanti giovani che ogni giorno perdono sempre di più la speranza, un percorso che ci consentisse di superare le mediocri politiche pubbliche e le inutili barriere sistemiche che hanno portato la disoccupazione giovanile ad attestarsi al 37,1%. Una storia fatta di sostenibilità, di cose possibili e giuste, eticamente condivise ed accettate. Una storia che sia capace di rendere sostenibile il nostro futuro e il futuro dei nostri figli.

La storia che dobbiamo scrivere tutti insieme è una storia molto seria. Con metodo e disciplina dobbiamo impegnarci ad influenzare il cammino stesso della nostra democrazia e dell’economia reale del nostro Paese.

Per far questo è necessario che il concetto di sostenibilità diventi il cardine del sistema nel suo complesso: ciò non è solo necessario, deve diventare un’impresa possibile. Bisogna avere il coraggio di dire che, in questi ultimi anni, ma anche in un passato non troppo remoto, abbiamo posto in essere politiche economiche che hanno contribuito a rendere non più sostenibile il sistema. Impresa non facile quella di mettere insieme e far andare d’accordo gli interessi dei diversi attori. Ma se prendiamo in prestito le definizioni della stakeholder analysis, e rendiamo sempre orientata all’etica, e non al più forte, l’approccio negoziale e democratico, la capacità di adottare misure sostenibili cresce esponenzialmente. Sappiamo che nel paradigma classico le imprese sono considerate gerarchie, mentre la politica ha, o dovrebbe avere, un orientamento bottom-up. Qualunque sia la visione ideologica che ci ha guidato fin qui, oggi la politica deve riprendere il dialogo (o la guida?) dell’economia e rendere possibile una cosa sopra tutte: risolvere problemi complessi e strutturali, come quelli della Società attuale, seguendo un percorso sostanziale di sviluppo sostenibile. Qualche anno fa, l’allora Segretario dell’Onu, Kofi Annan, diede un’ottima definizione di sviluppo sostenibile, secondo il quale «fine ultimo dello sviluppo sostenibile è quello di: riconciliare le forze creative dell’imprenditoria privata con i bisogni degli svantaggiati e le necessità delle future generazioni». Evidente il contesto relativo alle grandi Corporation, ne quale fu fatta quest’affermazione. Un commento all’affermazione di Annan, fu quella di voler chiedere alle aziende di diventare persone. E se cominciassimo agli Stati di cominciare ad assomigliare agli essere umani? Certo va prima sgrossata la cultura da falsi miti, come l’assistenzialismo o la massificazione, della persona e dell’economia: ma è importante che gli Stati, la Politica, riprendano il ruolo di guida nella soluzione dei conflitti e nella composizione degli interessi sostenendo come punto focale la soluzione etica e di lungo periodo, quindi sostenibile, alla soluzione dei conflitti.

Non è più sufficiente che chi si candida alla guida del Paese, come il Partito Democratico, faccia proposte che abbiano l’obiettivo di «creare un’alleanza tra produttori», per rimettere al centro del dibattito le tesi dell’impresa e del lavoro. Prima di tutto mi chiedo se è ancora necessario un dibattito: so che è una regola democratica, ma non so se c’è il tempo per continuare a dibattere. È urgente che vengano prese misure per creare occupazione, cosa che non si fa per decreto ma aumentando la domanda interna e gli investimenti. Ed in questo il giudizio sfavorevole del Presidente Monti, sul «conservatorismo» di quelli che si dicono progressisti, può essere condiviso. I conservatori, nel senso negativo del termine, sono quelli che non riescono a riconoscere gli errori commessi nel considerare sostenibile nel medio periodo ciò che non lo era neanche nel breve periodo. Sono quelli che continuano a credere di poter rappresentare le ragioni di alcuni come se fossero le uniche ragioni da difendere. E mi riferisco alle troppe battaglie sindacali apparentemente giuste, solo per pochi, che si sono scontrate con i conti insostenibili ribaltati su tutta la collettività, mentre i politici irresponsabili, si adornavano la coscienza pensando che era l’unica soluzione realizzabile.

Non è più possibile assistere a presunzioni economiche che partono ancora da considerazioni storicistiche della realtà. La teoria politico normativa liberale non ha l’ardire di voler cambiare la società in funzione di una visione teorica preconfezionata. Il merito della visione liberale è quella che partendo da dati empirici, e volendo risolvere problemi complessi, ci impone di considerare prioritaria lo stato di cose esistenti, per poterli presentare come eticamente accettabili, e lavorare per tutti in principal modo per i più svantaggiati.

Era stato promesso agli europei che con la moneta unica ci sarebbero stati miglioramenti degli squilibri sociali, assistiamo invece a sproporzioni crescenti. Non è sufficiente nemmeno il salario minimo legale per tutti gli Stati membri dell’euro, come auspica il Presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. Potrebbe essere un elemento di riequilibrio, ma lo è solo nel breve periodo, e con le differenze del costo della vita e dei costi industriali fra i diversi paesi, potrebbe riproporre nuove minacce per la stabilità dei conti. Nei prossimi anni dovremo affrontare sfide ancor più stringenti di quelle viste fino ad ora. Le differenze potranno essere colmate da un’Europa che ritorna ad essere un produttore virtuoso di beni – soprattutto – di servizi, ma anche di etica e democrazia.

Nel gennaio del 2011, Paul Krugman, scriveva: «La situazione attuale dell’Eurozona è una tragedia, non solo per l’Europa ma per il mondo intero, il cui modello è proprio l’Europa. Gli europei ci hanno insegnato che si possono portare la pace e la comprensione anche in una regione segnata da un passato di violenza, e così facendo hanno dato vita alle società più giuste mai esistite nella storia del genere umano, combinando la democrazia e i diritti dell’uomo con un livello di sicurezza economica dei singoli individui che l’America non può neppure lontanamente pretendere di avvicinare».

Non dobbiamo quindi scrivere una nuova favola per accompagnare il riposo dei nostri figli, ma riscrivere le regole generali della convivenza e dello sviluppo umano, per rendere possibile un vera ermeneutica sostenibile e reale per fare del nostro tempo il tempo giusto da vivere.

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