Questa campagna elettorale assomiglia sempre più ad uno spettacolo di cabaret, in cui il botta e risposta, tra i candidati cabarettisti, ruota attorno alle promesse sparate dal Cavaliere colui che, ancora una volta, piega il dibattito politico ai valori del marketing commerciale, colui che con le sue promesse mira ad offrire maggiore valore aggiunto ai clienti-elettori.
Gli avversari, dal canto loro, invece di praticare – e non solo di professare – il cambiamento sono costantemente impegnati a rispondere alle suddette sparate; accusano semplicemente il Cavaliere di fare le solite promesse e Mario Monti, in particolare, gli rivendica anche di non aver mai portato concretamente a termine la ‘rivoluzione liberale’.
Ora c’è da capire, prima di tutto, cosa sia per certi candidati la sospirata “rivoluzione liberale”, nominata a destra come a sinistra ma, in verità, mai abbracciata compiutamente né da una parte né dall’altra.
A tale proposito i Liberali per l’Italia-PLI, che in questa esperienza elettorale hanno scelto di correre da soli, non hanno fatto una scelta di ripiego ma una scelta ragionata. “Siamo indipendenti, non apparteniamo né alla destra né alla sinistra – afferma in diretta tv Renata Jannuzzi, capolista alla Camera per i Liberali per l’Italia-PLI – e soprattutto siamo contro questa destra e questa sinistra; siamo contro il bipolarismo; siamo contro questa legge elettorale. E, in pratica, siamo vicini a chiunque proponga qualcosa di buon senso”.
Soprattutto in campagna elettorale tutti professano la cosiddetta ‘rivoluzione liberale’ ma nessuno è pienamente liberale nei principi. Occorrerebbe “confrontarsi sul terreno delle idee, dei valori – affermano nel loro programma i Liberali per l’Italia – dei progetti concreti e della necessaria eticità, di cui il patrimonio liberale è sempre stato alfiere”. Per i Liberali per l’Italia-PLI è questo il punto da cui partire. Il programma espone chiaramente i principi, per l’appunto, dell’essere liberale. È un programma concreto basato sul lavoro e la giustizia sociale; la riduzione della pressione fiscale; il dovere della crescita e dell’occupazione; un’istruzione meritocratica e di qualità, meno formalistica, più concreta e più concorrenziale; una burocrazia più snella e più onesta; una giustizia più risolutiva. Per i Liberali, inoltre, occorre non trascurare una sana politica ambientale; la difesa del diritto alla salute per tutti i cittadini, anche i più svantaggiati; la costruzione di un’Europa dei popoli e non dei burocrati e dei ragionieri.
Sono queste le linee guida del programma dei Liberali per l’Italia; sono questi i ‘doveri liberali’ ai quali dovrebbero rispondere tutte le forze politiche che dichiarano di voler portare avanti – e magari di concretizzare – la ‘rivoluzione liberale’, in un contesto libero da pregiudizi e con uno spirito laico che sia in grado di difendere i diritti di ciascun individuo.
Nella dottrina liberale l’individuo – ogni individuo senza alcuna discriminazione – è il centro ed è al centro. In quest’ottica, uguaglianza e libertà coincidono, tantoché l’attualità liberale impone il superamento della storica diatriba che mette in contrapposizione tali diritti essenziali, ricongiungendoli in un diritto unico. In pratica è liberale una società che riconosce il valore e l’unicità del merito individuale ma in cui regna, nel contempo, l’uguaglianza delle opportunità. Nell’attuale modernità, inoltre, è liberale una società in cui viene garantita una “giustizia distributiva” – come afferma John Rawls (1921-2002) – che tiene conto delle disuguaglianze immeritate conferendo anche ai meno avvantaggiati la possibilità di realizzare i loro personali progetti di vita.
Concretamente, in una moderna società liberale, libertà ed eguaglianza non sono valori in conflitto e l’equità distributiva deve mirare a rendere eguale il diseguale valore delle eguali libertà. Nello stesso tempo, in un contesto liberale la giustizia sociale si rispecchia nella libertà dell’individuo di godere dei frutti del proprio lavoro e, quindi anche nella libertà di lavorare. “Ogni individuo è una persona separata – afferma Robert Nozick (1938-2002) – e la sua è l’unica vita che possiede. Nessuno può imporre sacrifici ad un individuo a beneficio di altri individui, e tanto meno lo Stato […] Nessuno e tanto meno lo Stato può decidere che alcuni individui siano risorse per altri”. Ciò vuol dire anche un’adeguata e non un’esasperata pressione fiscale, tasse giuste che non gambizzino i progetti di vita degli individui.
In particolare la riduzione della pressione fiscale “è necessaria per favorire la ripresa dei consumi, gli investimenti e creare nuova occupazione”, così come è “necessario un consistente alleggerimento fiscale in favore delle imprese”. I Liberali per l’Italia-PLI sostengono inoltre “l’eliminazione dell’IMU, almeno sulla prima casa”.
Lo Stato deve essere il “guardiano notturno” il cui compito – come afferma Wilhelm von Humboldt (1767- 1835) – consiste nel far rispettare i vincoli collaterali (ossia i “diritti inviolabili”) alle azioni degli uomini che discendono dall’inviolabilità degli individui: il diritto alla vita, alla proprietà, la liberta di scelta e di autodeterminazione. In quest’ottica lo Stato deve erogare alcuni servizi, come ad esempio in campo sanitario, ma occorre “espellere i politici dalle aziende sanitarie, come condizione essenziale per eliminare ruberie, clientelismo e sprechi”.
Tutto ciò favorirebbe il concretizzarsi di una ‘moderna’ giustizia distributiva anche nella sanità “per dare risposte adeguate, dello stesso livello, in tutto il territorio nazionale, per le emergenze connesse alle malattie gravi, nonché per la cura di quelle croniche ed il sostegno alla disabilità”. In questo contesto il Partito Liberale Italiano chiede, da tempo, “l’istituzione di una Autorità di garanzia dei diritti del malato e del disabile”.
A proposito di crescita e di occupazione, non si può parlare di crescita senza una dovuta riforma del sistema dell’istruzione, in particolare della formazione universitaria per cui l’Italia è agli ultimi posti nella graduatoria mondiale. I Liberali per l’Italia propongono “l’abolizione del valore legale dei titoli di studio per evitare la proliferazione di diplomifici costituiti da atenei di scarso livello qualitativo, nonché la promozione del merito, incentivando le università di alta qualità in grado di competere sul piano internazionale, sotto il profilo della qualità della formazione e non del semplice rilascio di titoli accademici”.
La sanità e l’istruzione sono, in qualche modo, le cartine di tornasole di un Paese, quindi un Paese che funziona è un Paese che gode di un sistema sanitario e di un sistema dell’istruzione efficienti. Troppo spesso, invece, questi due settori chiave della società civile sono gambizzati dall’ideologia e dalla tecnocrazia, dalle influenze politiche e di partito, che enfatizzano gli sprechi consumando le risorse utili per lo sviluppo del Paese e quindi mettendo a rischio la salute di quest’ultimo. Occorre inoltre ragionare in termini di ‘razionalizzazione’ e di ‘tagli’, senza però penalizzare le energie vive del Paese. In pratica si parla molto di ‘crescita’, di ‘sviluppo’, di ‘ripresa’ ma come si può pretendere che un Paese si riprenda se non è animato da forze vitali, se non crede in sé stesso, se non gode delle cure adeguate, se i giovani non possono sperare in un futuro migliore, e quindi avere una formazione adeguata agli standard internazionali? Tematiche importanti ma pesanti che meritano comunque di essere approfondite ed affrontate senza cedere alla facile tentazione di affibbiare i giovani con i soliti epiteti, quali ‘bamboccioni’, ‘sfigati’ o ‘choosy’.
Una burocrazia meno costosa e più efficiente è quella che fa di uno Stato uno ‘Stato liberale’, in tutti i settori del vivere civile: giustizia, sanità, istruzione, pubblica amministrazione, solo per citarne alcuni. In questo contesto i Liberali per l’Italia-PLI sostengono che occorre ridurre drasticamente “la mostruosa presenza che produce soltanto costi, ritardi e corruzione, responsabilizzando i cittadini” e prevedendo, inoltre, “che ogni iniziativa economica possa essere avviata sulla base di autocertificazioni”. Si tratta di una “trasformazione culturale e organizzativa” che, oltre a garantire una sostanziale riduzione dei costi e del numero degli addetti, dovrebbe mirare ad evitare gli “oneri indiretti” attribuiti agli estenuanti ritardi e alla “rendita parassitaria di un potere ottocentesco” che, bloccando il cambiamento, paralizza il Paese e gambizza la ‘rivoluzione liberale’.
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