Dopo le “primavere arabe” e i movimenti di contestazione che nel 2011 avevano provocato delle risalite e delle cadute, la classificazione mondiale della libertà di Stampa  2013 pubblicata da “Reporter senza frontiere” si caratterizza per il ritorno ad una configurazione più comune. La posizione di un gran numero di Paesi è meno legata all’intensità dell’attività politica, ma più influenzata dalle vere intenzioni dei Governi nei confronti della libertà Stampa. Se è evidente che nei Paesi sottomessi a dittatura , gli attori dell’informazione sono esposti, insieme alle loro famiglie, a rappresaglie violentissime, in numerose Democrazie, i giornalisti devono lottare con crisi economica che colpisce la Stampa e soprattutto con i conflitti d’interesse. Sebbene le due situazioni non siano paragonabili, entrambi resistono a forti pressioni, che siano materiali o ideali.

In testa alla classifica, i tre Paesi europei che occupavano i primi posti lo scorso anno formano nuovamente il trio vincente. Per la terza volta consecutiva, la Finlandia si distingue per essere il Paese più rispettoso della libertà di Stampa. Seguono i Paesi Bassi e la Norvegia. In fondo, tre Paesi dittatoriali compongono il “trio infernale”. Si tratta degli stessi dell’anno passato, il Turkmenistan, la Corea del Nord e l’Eritrea. Per l’occasione dell’uscita della Classifica Mondiale 2013, “Reporter senza frontiere” pubblica per la prima volta un indice annuale della libertà di Stampa. Con la creazione di questo indicatore inedito, si sono così dotati di uno strumento che analizza la prestazione globale degli Stati, che permette di misurare lo stato generale della libertà di informare. Grazie alle nuove tecnologie e all’interrelazione degli Stati e delle popolazioni, la libertà di produzione e circolazione dell’informazione non potrebbe essere apprezzata senza una unità di misura su scala planetare. Nel 2013, l’indice si aggira sui 3395 punti, un numero di riferimento per gli anni a venire. L’inclinazione regionale dell’indice permette una valutazione della situazione relativa per grandi zone. Il calcolo si fonda su di una media ponderata in funzione della popolazione, con dei risultati che vanno da 0 a 100,rappresentando zero una situazione ideale. Lo studio mostra che la zona Europa ottiene il risultato di 17,5, seguita dalla zona Americhe (30), Africa (34,3), Asia-Pacifico (42,2), Paesi dell’ex-URSS (45,3). Malgrado la Primavera Araba, la regione del Medioriente-Africa del Nord (48,5) si posiziona all’ultimo posto. L’importanza del numero di giornalisti e navigatori della rete morti nell’esercizio delle loro funzioni nel 2012 (anno nero secondo i rapporti) ha ovviamente un’influenza notevole sul posizionamento dei Paesi dove i crimini sono stati perpetrati, come in Somalia (175°, -11), la Siria (176°, 0), il Messico (153°, -4) e il Pakistan (159°, -8).

I Paesi nordici dimostrano ancora una volta la loro capacità di assicurare e mantenere un ambiente ottimale per chi fa informazione. All’estremo opposto della classifica, il “trio infernale” rafforza la sua posizione. L’arrivo del giovane Kim Jong-un a capo della Corea del Nord non ha cambiato di una virgola il controllo assoluto  che vige sull’informazione. Recentemente agitata da un piccolo ammutinamento al Ministero dell’Informazione, l’Eritrea (179°) continua ad essere una prigione a cielo aperto per la popolazione. Numerosi giornalisti vi muoiono in detenzione. Malgrado un discorso riformista, il Regime del Turkmenistan non cede di un millimetro sul suo controllo totalitario sui media. Per il secondo anno consecutivo, il “trio infernale” viene preceduto dalla Siria, dove si svolge una guerra all’informazione tra le più sanguinarie.  Appena finito un anno spietato per i giornalisti, la Somalia sprofonda negli abissi della classifica (-11 posizioni). L’Iran, la Cina, il Vietnam, Cuba, il Sudan e lo Yemen completano la lista dei 10 Paesi meno rispettosi per la Libertà di Stampa. Non contenti di imprigionare a più non posso giornalisti ed internauti, l’Iran si distingue per le bieche pressioni fatte sulle famiglie dei giornalisti, sul suo territorio come all’estero.

Ci sono Paesi virtuosi,  che registrano progressi importanti come il Malawi (75°, +71), la Costa d’Avorio (96°, +63), la Birmania e l’Afghanistan. L’assenza di giornalisti imprigionati spiega questa rimonta, ma ancora moltissime sfide devono essere vinte, soprattutto quando se ne andranno gli eserciti stranieri e i consiglieri militari. Ma se c’è chi sale, purtroppo c’è chi precipita. Il Mali (99°, -74) registra la più pesante caduta dovuta agli eventi che hanno colpito il Paese nel corso del 2012. Il putsch militare e la guerra scatenata dagli islamici hanno esposto i media del Nord del Paese alla censura e alla tortura. Purtroppo non è che un esempio.In quasi tutti i continenti, dei “modelli regionali”, la cui influenza supera le frontiere nazionali, perdono piede nella classifica. In America Latina, il Brasile (108°, -9), motore economico della Regione, continua la sua lenta, ma inesorabile discesa. I cinque giornalisti che hanno perso la vita nel 2012 e i persistenti problemi sul pluralismo dei media spiegano questa downgrading. In Asia, l’India ha raggiunto la sua peggiore posizione dal 2002, motivo: un clima d’impunità sempre maggiore e una censura della Rete che continua a svilupparsi. Della Cina sappiamo quasi tutto, come non stupisce la perdita di 6 posizioni da parte della Russia che ha visto con il ritorno di Putin un pesante giro di vite in risposta alla mobilizzazione senza precedenti dell’opposizione.  Modelli regionali che si pensava fossero all’altezza non si sono dimostrati, per debolezza e paura dei loro leader, per niente all’altezza.

La panoramica fatta finora ha dato risultati quasi “scontati”. Cosa succede a casa nostra? In gran parte dei Paesi membri dell’Unione Europea vige lo status quo. Sedici di loro rimangono tra i primi 30 della classifica. Ma il modello europeo si sta logorando. L’emorragia legislativa cominciata nel 2011 non cambia tendenza neanche nel 2012, soprattutto in Italia (57°, +4) dove la depenalizzazione della diffamazione non è ancora stata ottenuta e dove le istituzioni strumentalizzano pericolosamente le “leggi-bavaglio”.  Una classifica che fa male, più delle cattive performance della nostra economia e sulla quale dobbiamo riflettere seriamente.

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1 COMMENTO

  1. Lo studio realizzato da Reporter é tempestivo e opportuno, ma i criteri utilizzati per misiurare la libertá d’informazione sono ancora piuttosto grezzi. Non bastano la censura ufficiale e l’imprigionamento dei giornalisti a determinare una situazione di scarsa libertá. Ci sono altri modi, meno evidenti di limitare il diritto d’ informazione. Reporter dovrebbe guardare con maggiore attenzione gli studi delle organizzazioni sudamericane di stampa e vedreebbe che oltre a Cuba dichiaratamente autoritaria, ci sono Paesi come il Venezuela e in genere quelli governati da regimi che si dicono nazional-popolari, in cui la libertá di stampa é ridotta a un sumulacro. Nella stessa Argentina, che pure é una democrazia piena, con una Presidentessa eletta a forte maggioranza e con un impeccabile curruculum democratico, la stampa scritta e parlata che fa opposizione (tra cui i principali quotidiani) nazionali) é penalizzata, per es., nella distribuzione della pubblicitá ufficiale (che coinvolge somme importanti) a favore dei fogli e radio-TV filogovernativi, e tre anni fa é stata varata una legge che impone ai gruppi principali che gestiscono Radio e TV di cedere buona parte delle loro licenze. La legge é in sé condivisibile, perché mira – come in quasi tutti i Paesi dell’Occidente – a evitare le grandi concentrazioni (in questo caso, il gruppo Clarin, che ha una posizione dominante). La legge é stata per ora bloccata in sede giudiziaria, ma prima o poi entrerá in vigore (come é normale che sia) ma il risultato temuto puó essere quello di silenziare di fatto una voce oppositrice molto importante e ascoltata, mentre il Governo, direttamente o attraverso gruppi “amici” controlla una fetta non trascurabile della stampa scritta e parlata. In conclusione, quando si misura il grado di libertá d’informazione, gli strumenti di misura devono essere pú sofisticati e avanzati degli attuali.

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