La costante nel sentimento degli esponenti del “political correct” è rappresentato in genere dal non voler sembrare italiani nazionalisti incapaci di comprendere le ragioni altrui. Ciò fino al punto di darsi sempre torto come nel caso della vicenda dei due esponenti del nucleo antipirateria della Marina Italiana (in genere, chissà perché, chiamati “Marò).
Ricordiamo i fatti:
- I marinai italiani hanno agito in un operazione di difesa , riconosciuta a livello internazionale, rispetto ad atti di pirateria.
- Se hanno colpito non pirati ciò è avvenuto per errore, o a tutto concedere, colpa.
- Il fatto non è avvenuto in territorio o in area compresa nella giurisdizione indiana.
- In ogni caso, anche ove il punto di cui sopra fosse opinabile, è pacifico che la guardia costiera indiana ha attirato, dopo il fatto, la nave italiana nel porto di Kochi con l’inganno.
- I due militari, secondo la legge (legge?) indiana rischiano la pena di morte per un’azione svolta nell’adempimento del proprio dovere, e sulla base di un indagine casuale (le navi sul luogo del fatto erano quattro e gli italiani sono stati – ingenuamente – gli unici a rispondere alle richieste di chiarimento indiane).
L’India, dunque, ha arrestato i due militari italiani con l’inganno, tende alla giustizia sommaria (confondendo le fattispecie giuridiche colpose con quelle dolose), rifiuta qualsiasi soluzione concordata, viola l’immunità diplomatica e se mai l’Italia tutelando i propri militari avesse commesso qualche errore, ciò non giustifica la grave ed incivile protervia indiana.
Quanto a quegli italiani dediti alla protesta contro la pena di morte, contro il militarismo (l’India è tra i tre più importati stati dediti al riarmo) e per il rispetto del diritto internazionale (pacificamente violato dall’India), ritengo sia il caso essi riflettano sull’opportunità di un arbitrato internazionale e, comunque, sulla priorità di preservare la vita di due cittadini italiani nonché l’integrità del diritto rispetto all’inganno ora anche duplice, dopo il sequestro dell’ambasciatore italiano, perpetrato dall’India.
Sul punto ogni difesa che non sia ritorsiva o bellica, è doverosa mentre ove l’India non si fermasse, non vi sarebbe alternativa, rispetto a reazioni ragionevoli, ma proporzionate, da parte dell’Italia.
