Barack Obama si è recato in Israele senza portare grandi proposte. Numerosi osservatori hanno criticato la sua visita, dichiarando che non aveva nessun buon motivo per farla. Ma il Presidente americano, smentendo parzialmente le loro parole, non è tornato a casa a mani vuote.
Obama e il suo staff dovevano essere particolarmente soddisfatti quando sono arrivati in Giordania dopo aver realizzato quello che la CNN ha definito “un diplomatico colpo grosso”. Durante l’incontro di Obama all’aeroporto con il Primo Ministro israeliano, prima che lasciasse Israele lo scorso 22 Marzo, Benjamin Netanyahu ha telefonato al Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan e si è scusato per la morte degli otto cittadini turchi e di un cittadino turco-americano che facevano parte di una piccola flotta di rotta verso Gaza. La Turchia reclamava delle scuse da diverso tempo, e il gesto ha istantaneamente disteso i rapporti che erano diventati piuttosto difficili tra i due Paesi, alleati chiave degli Stati Uniti in Medioriente. Il Presidente americano spingeva Netanyahu a scusarsi dal 2010, quando un commando israeliano aveva assalito la Mavi Marmara. Ma tutti i meriti non vanno al talento diplomatico di Obama. La crisi siriana ha spinto Israele e Turchia a mettere fine al contenzioso. La mediazione di Obama è stata certamente determinante, ma la riconquista della piena fiducia tra i due antichi alleati regionali prenderà del tempo. Domenica Benjamin Netanyahu ha confessato i suoi timori sul fatto che l’arsenale di armi chimiche del regime di Bachar al-Assad possa cadere nelle mani degli estremisti. “Il fatto che in Siria la situazione possa degenerare da un momento all’altro è stato un fattore determinante per me”, ha dichiarato il Primo Ministro israeliano. Il quotidiano israeliano Haaretz sottolinea che se è vero che è stato il “serio deterioramento della crisi siriana” a spingere i due Stati a mettere da parte le loro avversità, questo non è stato l’unico motivo. Turchia e Israele hanno un comune interesse per l’Iran, e gli incoraggiamenti di Obama hanno avuto un ruolo chiave.
Già tese dalla sanguinaria operazione israeliana “Piombo Fuso”, avvenuta nella striscia di Gaza tra la fine di Dicembre 2008 e Gennaio 2009, le relazioni tra la Turchia e Israele, alleati strategici negli anni ’90, si sono brutalmente interrotte il 31 Maggio del 2010 con l’incidente della Mavi Marmara. Da allora Ankara aveva congelato i rapporti diplomatici con Israele, espulso l’Ambasciatore di Tel Aviv e sospeso la cooperazione militare. Nel Gennaio del 2011, una Commissione israeliana, incaricata di definire la conformità statutaria in base al Diritto Internazionale del blocco marittimo di Gaza e dell’embargo ne aveva, senza sorprendere nessuno, confermato la legittimità. Una inchiesta delle Nazioni Unite nel Settembre del 2011 era arrivata a conclusioni simili, considerando il blocco come una “misura di sicurezza legittima”, ma denunciando comunque un ricorso alla forza “eccessivo ed irragionevole” nell’assalto della Mavi Marmara. L’ultimo contatto telefonico tra i due capi di Governo risale all’Ottobre 2011. Netanyahu aveva chiamato il suo omologo per proporgli l’aiuto di Israele dopo il sisma che aveva devastato la provincia orientale di Van. Nel Febbraio 2012, Erdogan aveva fatto un passo falso che gli era costato la critica da parte della comunità internazionale classificando il sionismo tra i “crimini dell’umanità”, affermazione stemperata poi in una intervista rilasciata ad un giornale danese e classificata come un “equivoco”. L’Ufficio Stampa del Primo Ministro turco, in quella occasione aveva tenuto a precisare che “i due capi di Governo erano d’accordo nel continuare ad adoperarsi nel miglioramento della situazione umanitaria nei Territori palestinesi”. Un piccolo segnale di distensione è arrivato all’inizio di quest’anno quando il portavoce dell’amministrazione militare israeliana nei territori palestinesi, il Comandante Guy Inbar, aveva annunciato che Israele autorizzava Ankara a far transitare delle forniture mediche destinate ad un ospedale costruito dalla Turchia nella Banda di Gaza senza coordinamento con lo Stato Ebraico. “E’ un passo importante per andare verso la riconciliazione tra Turchia ed Israele”, aveva commentato il portavoce. Gli ambienti vicini al Primo Ministro sono convinti che l’apertura di un nuovo capitolo nelle relazioni con la Turchia “può essere molto, molto importante per il futuro, in funzione dell’evoluzione della situazione in Siria, ma non solo”. Prima della rottura del 2011, le autorità turche e israeliane si scambiavano informazioni e organizzavano esercitazioni militari congiunte nell’ottica di un eventuale ricorso alla forza per mettere fine al programma nucleare iraniano.
La Casa Bianca ha lavorato molto a questo riavvicinamento, non solo per le questioni strategiche che abbiamo visto (Siria e Giordania, possibile via di fuga della popolazione siriana in caso di attacco con armi chimiche), ma anche perché Barack Obama era molto preoccupato dell’isolamento nel quale si sono chiusi gli israeliani. Come ha detto Kerry dopo il suo incontro di sabato scorso con Netanyahu, la normalizzazione “aiuterà Israele a far fronte ai numerosi problemi ai quali è confrontato nella Regione”. La visita a Gerusalemme è il preludio al rilancio del processo di Pace? Gli americani sono convinti che dei gesti simbolici verranno fatti da entrambe le parti. Tra le numerose possibilità (liberazione di prigionieri per esempio), ognuno sceglierà quello meno difficile da far digerire alla sua opinione pubblica o coalizione, ma sapremo solo tra qualche settimana se la ripresa del processo sia veramente ipotizzabile. Nell’attesa, Erdogan ha annunciato che entro fine Aprile si recherà a Gaza e in Cisgiordania.
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