In Serbia si è appena verificato l’esempio della vecchio credo politico che dispone che più un leader viene percepito come nazionalista dal suo popolo, più può permettersi di fare concessioni dolorose per il prestigio della sua Nazione. Eletto un anno fa dopo una campagna improntata sulla linea nazionalista anticorruzione, il Presidente della Serbia Tomislav Nicolic ha da poco presentato le sue scuse per il massacro di Srebrenica, commesso dalle forze serbe di Bosnia nel Luglio del 1995. Non solo, ha  anche firmato un accordo di normalizzazione dei rapporti con il Kossovo.

“Mi inginocchio e chiedo che la Serbia venga perdonata per il crimine commesso a Srebrenica”, ha dichiarato Nikolic, secondo lo stralcio di un’intervista concessa alla televisione nazionale bosniaca (BHT) e che sarà trasmessa integralmente il 7 Maggio prossimo. Alcuni passi di questa conversazione sono stati postati giovedì scorso su YouTube. “Mi scuso per i crimini che sono stati commessi in nome del nostro Stato e del nostro popolo per volere di un individuo qualsiasi cresciuto tra il nostro popolo”, ha proseguito il Presidente della Serbia. L’allusione al generale Ratko Mladic è chiara. Quest’ultimo, comandante in capo delle forze serbe secessioniste di Bosnia-Erzegovina dall’inizio della guerra civile cominciata nel 1992 (ma  continuando a percepire  la sua paga da Belgrado) portò avanti personalmente l’assalto, l’11 Luglio 1995, nell’enclave di Srebrenica, dove si erano rifugiati decine di migliaia di musulmani originari di questa Regione orientale di Bosnia. I paracadutisti olandesi, che controllavano questo territorio ufficialmente protetto dall’ONU, non spararono alcun colpo, si lasciarono disarmare creando grande imbarazzo in seno all’esercito olandese e un vero caso politico nei Paesi Bassi. Dopo aver spedito per camion donne, vecchi e bambini verso la città musulmana di Tusla, i miliziani serbi cominciarono a sparare su tutti gli uomini e adolescenti caduti nelle loro mani. All’inizio del 1996, uno di questi miliziani, intervistato da un grande quotidiano francese, raccontò per filo e per segno i massacri ai quali aveva partecipato. La sua testimonianza, che fu poi messa agli atti dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aia, che indaga sui crimini commessi nell’ex-Iugoslavia, è uno dei pezzi più forti dell’accusa contro il generale Mladic, che la Serbia ha estradato due anni fa. L’impensabile è dunque accaduto: il Presidente serbo ha fatto atto di contrizione. Ha ammesso l’uccisione di più di 8000 uomini e adolescenti musulmani, il massacro più terrificante accaduto in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ma il Presidente, per il momento, non convince  perché lui stesso aveva scioccato il Mondo dichiarando nel Giugno del 2012, all’indomani della sua investitura, che “non c’era stato alcun genocidio a Srebrenica”. Anche questa volta Tomislav Nikolic evita accuratamente di pronunciare questo crudo termine. Incalzato dal giornalista che conduceva l’intervista ha però ammesso che “tutto quello che è accaduto nell’ex-Iugoslavia sa di genocidio”.  Un relativismo che nega lo squilibrio dei crimini commessi nei Balcani durante periodo. Il perdono è stato certamente chiesto. Accettarlo necessita ancora molti sforzi da parte dei parenti delle vittime, che non si riterranno in pace che il giorno in cui la Serbia ammetterà quel genocidio. In effetti, viene definito ‘crimine’ anche lo scippo.

Quattordici anni dopo i primi bombardamenti della guerra del Kossovo, i carri armati  della Nato pattugliano sempre le strade di questa martoriata Regione dei Balcani. Nel 1999, la Comunità Internazionale era dovuta intervenire militarmente per evitare una catastrofe umanitaria . La Nato si vede costretta ad intervenire e bombarda le forze serbe. Viene dispiegata una forza internazionale (la KFOR) e istituito un protettorato sotto l’egida delle NU. Nel Febbraio del 2008 il Kossovo dichiara la sua indipendenza. L’Unione Europea – via Eulex – la più grande missione civile della sua storia, da il cambio all’ONU. Ma ancora oggi, gli strascichi di questo conflitto sono fonte di grandi tensioni, anche se, per l’ex- Repubblica di Iugoslavia, si apre lo spiraglio per un nuovo futuro. Il 19 Aprile scorso, i due Paesi hanno concluso un accordo di normalizzazione (approvato dal Parlamento serbo il 26 Aprile a larga maggioranza), una politica della mano tesa porta da Bruxelles come ‘garanzia’ per l’apertura verso i negoziati di adesione, sicuro. Ma è solo questa la molla che ha fatto smuovere le acque? Questo accordo forse non sarà “storico”, come molti lo definiscono, ma è in ogni caso molto importante. Prevede una soluzione che non è per forza quella “ideale” o più facile da attuare, ma esiste. La più grande vittoria è la volontà che c’è stata da una parte e dall’altra per arrivare, anche a caro prezzo, a un accordo. Ci sono voluti nove incontri a Bruxelles per riuscirci, senza che nessuno abbia mai voluto veramente desistere. Quando, dopo l’ottava riunione, l’Unione Europea ha minacciato di chiudere i giochi, Serbi e Kosovari  sono tornati all’attacco per avere un’ultima possibilità. Non sono tanto i punti dell’accordo ad essere storici quanto la volontà stessa di arrivare.  La cosa che colpisce maggiormente è che da parte Serba è proprio un governo di impronta  fortemente nazionalista ad aver insistito maggiormente nell’andare fino alla fine. Prima di creare il suo Partito progressista, Tomislav Nikolic, oggi Presidente, è stato a lungo vice-presidente del Partito radicale, diretto da Voijslav Seselj, persino dalla sua cella all’Aia e il Primo Ministro serbo, Ivica Dacic non è che l’ex portavoce di Slobodan Milosevic (che sappiamo tutti essere accusato di crimini di guerra e genocidio per le guerre nell’ex Iugoslavia).  Opportunismo? Pragmatismo? Qualcuno ha sostenuto che questo accordo fosse un modo implicito da parte Serba di riconoscere l’indipendenza del Kossovo. Di fatto, la Serbia con questo accordo si è dimostrata realista: riconosce che il Kossovo non fa più parte della Serbia. Non è certamente un riconoscimento assoluto e giuridico di indipendenza, ma da una grande scossa a una mentalità negazionista saldamente radicata, soprattutto dei Serbi del Kossovo. Accetteranno le istituzioni Kosovare? Potranno mantenere la doppia nazionalità? E’ difficile rifiutagli di conservare le loro carte di identità e passaporti serbi visto che i documenti rilasciati dal Kosovo non sono riconosciuti da tutti (97 dei 193 Paesi membri delle NU non hanno ancora riconosciuto la sua indipendenza, tra questi 5 Paesi membri dell’UE). Il Parlamento serbo sta prendendo in considerazione di organizzare un referendum per dirimere la questione e calmare gli animi.

Kosovari e Serbi sanno perfettamente che la loro eventuale entrata nell’UE prenderà molto tempo. Sicuramente è una delle molle che li ha motivati e che ha fatto mostrare la loro buona volontà a Bruxelles. Ma sono anche coscienti che la soluzione della loro profonda crisi economica (e quindi sociale) deve essere la priorità di entrambi e per arrivarvi bisogna prima calmare tensioni e conflitti inutili. Sanno perfettamente che l’adesione della Croazia in Luglio sarà accolta con qualche malumore dai cittadini europei e questo costringerà i Capi di Stato a rallentare qualsiasi altra candidatura. Questa piccola rivoluzione è sicuramente una vittoria anche dell’UE, ma  sembra essere una grande prova del fuoco per il potere serbo, una prova di responsabilità  tutta da confermare, che potrebbe servire d’esempio e sbloccare tante altre tensioni nella Regione.

© Rivoluzione Liberale

 

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