È caduto l’embargo, chiamiamolo giustamente così, da parte degli USA.

Non stiamo parlando di scenari militari, strascichi di guerra fredda o spionaggio industriale, ma della guerra doganale che aveva, finora e da oltre quindici anni, impedito la piena e libera commercializzazione dei salumi italiani negli states.

Una politica di protezionismo che tutelava, con scuse al limite del pretesto, la produzione nazionale USA (o di confine o da essa influenzata) dalla concorrenza della qualità dei prodotti italiani.

Grazie alla sostanziale tolleranza del fenomeno della contraffazione contro prodotti tipici seppur abbiano il riconoscimento di qualità europeo della DOP (Denominazione di Origine Protetta) e della IGP (Indicazione Geografica Protetta), le autorità USA hanno, di fatto, sempre tollerato, non riconoscendo e tutelando nè i marchi nè la qualità dei prodotti, la produzione e commercializzazione (con nome italiano e bandierina tricolore sulla confezione) di prodotti provenienti dai vari stati americani.

Vincoli e veti dei quali hanno usufruito pure il “culatello” uruguaiano, il “salame veneto” canadese ed il “parma salami” del Messico… e non certo, fosse stato almeno quello, i consumatori statunitensi. A dimostrazione di come il protezionismo tuteli la produzione “amica” (le lobbies vicine ai governi, tanto per parlar chiaro), ma spesso finisca per danneggiare la qualità dei prodotti offerti a discapito, alla fine, del consumatore che spesso incontra bassa qualità e prezzo allo standard “di marca”.

Per inquadrare bene la questione e dare un’idea, stiamo ragionando di un settore produttivo italiano (salumi) solido e con un bacino di esportazione complessivo ormai oltre il miliardo di euro (nel 2012 il record storico, con Russia e Giappone i principali clienti extra-UE).

Per quello che è il solo mercato USA si sta comunque parlando di un business da svariate decine di milioni di euro l’anno e con ora un nuovo sbocco (stimato in 10-15 milioni) nel bacino; situazione per la quale, in tempi di dura crisi, non può che tirar il fiato l’economia delle zone di incidenza di questo ramo di eccellenza del settore produttivo nazionale che ha ora l’opportunità di sfondare ulteriormente nel ricco mercato americano.

Cade, quindi, una delle tante barriere, in questo caso burocratico-sanitarie e sottolineiamolo non tariffarie, che hanno fin qui impedito il pieno sviluppo delle esportazioni italiane nel mondo.

A far scattare il blocco era stata la malattia vescicolare del suino ed i piccoli focolai della malattia che si ripresentavano, di quando in quando, sul nostro territorio nazionale.

È stata riconosciuta, ora, dalle autorità della Aphis (Animal and Plant Health Inspection Service)  l’estraneità dal pericolo infezione di Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto e delle Province autonome di Bolzano e Trento. Aree, queste, dove si concentra la netta maggioranza degli allevamenti di maiali e degli stabilimenti di lavorazione delle carni in Italia.

Una buona notizia, quindi, ed ogni tanto non guasta. A tutto quanto detto fin qui va aggiunto un possibile effetto traino sul mercato USA di altri prodotti alimentari ed in generale a marchio italiano.

L’auspicio è che il Governo mantenga l’attenzione adeguata sul versante del export e tuteli in un’ottica di sviluppo, con politiche adeguate, questo settore importantissimo per l’economia nazionale.

© Rivoluzione Liberale


274
CONDIVIDI