Tanto rumore per quasi nulla. Il Decreto Legge enfaticamente denominato del “fare” non va al di la di un modesto aggiustamento, che risolve poco. Era scontato che il Governo Letta non sarebbe stato in grado di varare riforme incisive, principalmente di natura fiscale. Troppo differenti tra loro appaiono  gli interessi di cui i maggiori partiti della coalizione sono portatori. Le mancate scelte vengono giustificate con la carenza dei mezzi economici necessari, mentre in realtà prevale la assoluta inconciliabilità degli obiettivi.

E’ dinnanzi ai nostri occhi che anni di politiche economiche restrittive anti-recessione hanno provocato la crisi. Il reale problema del Governo Letta consiste nel non poter intervenire a favore o a scapito di un gruppo sociale o di un altro, in relazione agli interessi dei ceti che ciascun partito rappresenta. Lo dimostra la polemica sull’IMU. La difficoltà di trovare una modesta copertura di quattro miliardi è una finzione, se raffrontata ad una spesa pubblica, quasi tutta inutile, di trecentocinquanta. In realtà, dietro tale ridicola spiegazione, si nasconde l’interesse del PD a non rispettare l’accordo raggiunto al momento della formazione dell’Esecutivo, per evitare che Berlusconi si possa avvantaggiare del risultato positivo dell’attuazione del principale punto programmatico, enunciato sin dalla campagna elettorale. La  pretesa di limitare eventualmente la esenzione soltanto ai contribuenti con reddito più basso, che comporterebbe un risparmio di poche centinaia di milioni, ha semplicemente scopo dimostrativo verso l’elettorato della sinistra. Pertanto, anche sulla necessaria decisione di non aumentare l’IVA , che vede tutti concordi, si è sollevato un polverone, esclusivamente per mettere in contrapposizione tale priorità rispetto all’IMU.

In mancanza di una intesa politica sulle scelte di fondo, coniugando posizioni che appartengono a culture profondamente diverse, l’azione del Governo Letta è destinata ad un rapido fallimento. Una coalizione di larghe intese ha senso soltanto se è in grado di promuovere riforme radicali per liberare le risorse necessarie ad innescare un processo virtuoso di crescita, esente da condizionamenti ideologici, ma in grado di creare innovazione, opportunità di lavoro per i giovani, efficienza  della pubblica amministrazione. E’ mai possibile, per esempio, che non si possano abolire le Province e che non si possano tagliare le agevolazioni ed i sussidi a pioggia?

Invece di chiudere i piccoli tribunali, che già il Ministro Severino aveva deciso di eliminare, il decreto del “fare” ha reintrodotto la già fallita mediazione obbligatoria. Il Ministro Saccomanni ha definito decisioni di “estrema gravità” eventuali tagli alla spesa pubblica, mentre non si rende conto che l’unica cosa effettivamente grave è mantenere la attuale eccessiva pressione fiscale, perché i cittadini non sono più in grado di permettersi il lusso di uno Stato onnivoro. Senza una significativa riduzione del carico tributario, che non può limitarsi ai modesti provvedimenti su IVA ed IMU, ma che deve concretizzarsi in un significativo abbattimento di IRAP e Cuneo fiscale, per poi, in rapida successione, affrontare la revisione dell’IRPEF e dell’IRES, l’economia e  l’occupazione non potranno riprendere. Chi non vuole tali riforme, perché afflitto da una cultura vetero statalista, continuerà a sostenere che è impossibile trovare le risorse necessarie, salvo poi scendere in piazza per richiedere un ulteriore finanziamento della Cassa integrazione. 

La scelta, se si vuole invertire la tendenza negativa, che fa registrare quotidiane chiusure di aziende e fallimenti, è quella di tagliare in tre anni almeno cinquanta o sessanta miliardi di spesa burocratica improduttiva, che ha il solo scopo di rallentare lo sviluppo e di vessare, senza alcun motivo, imprenditori e semplici cittadini, oltre ad essere la principale fonte della corruzione, spesso d’accordo con la cattiva politica.

Basterebbe cominciare con la cancellazione (non il semplice rinvio) del finanziamento pubblico dei partiti, nonché con la eliminazione di ogni contributo alle organizzazioni sindacali, ai patronati ed ai CAAF. Potrebbe inoltre essere subito abolito il finanziamento di cooperative giornalistiche e giornali di partito, che non legge quasi nessuno e che non hanno alcuna utilità pubblica, se non quella di finanziare indirettamente la politica parassitaria, attraverso stipendifici inaccettabili. Si dovrebbe con urgenza privatizzare la RAI, scandalosamente al servizio della politica ed inoltre vendere le partecipazioni delle Aziende pubbliche statali e territoriali, cominciando da ENI, ENEL, Terna, Ferrovie e Finmeccanica, per arrivare a Porti, Aeroporti, servizi pubblici nel campo dell’energia, dei trasporti, della raccolta e trattamento dei rifiuti, non solo per recuperare risorse per gl’investimenti, ma per cominciare a ridurre il debito pubblico, con immediata ricaduta sul costo degli interessi.

Se, prima dell’autunno, il Governo non deciderà di intraprendere tale strada obbligata, anche alzando la voce a Bruxelles, difficilmente il Paese potrà agganciare la ripresa ed allora tanto varrebbe tornare alle urne.

© Rivoluzione Liberale

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