L’elezione, a sorpresa, dell’unico candidato moderato ancora in corsa alla Presidenza dell’Iran, potrebbe essere il primo segnale di un tentativo di svolta per la Repubblica Islamica. O forse no.

La repubblica Islamica dell’Iran ha sicuramente operato una rottura, permettendo ad un moderato di succedere all’ultra-consevatore Mahmud  Ahmadinejad. Paradossalmente, questa svolta ha i tratti di un religioso dal turbante bianco e dalla curatissima barba grigia. Con 18,6 milioni di voti, Hassan Rohani ha ampiamente superato i cinque avversari conservatori che si presentavano assieme a lui. Bella sorpresa per tutti quelli che assicuravano la vittoria di un fedelissimo della Guida Suprema “grazie” ad elezioni truccate. Vero vertice dello Stato iraniano, l’ayatollah Khameney aveva tuttavia accuratamente blindato le elezioni, scartando qualsiasi candidatura riformatrice “di peso” attraverso il filtro dei Guardiani della Costituzione. Forse è proprio la moltitudine di scelte “conservatrici” che ha fatto scemare la loro possibilità di vittoria. Vice versa, la rinuncia forzata dell’ex Presidente riformatore Mohammad Khatami e soprattutto l’eliminazione dalla corsa di uno dei pilastri del Regime, il moderato Akbar Rafsandjani, hanno lasciato ai partigiani del cambiamento una sola e unica scelta: Hassan Rohani. Un candidato diventato riformatore quasi malgrado lui visto che fa comunque parte del serraglio. Hassan Rohani ( piccola curiosità, il cognome significa “religioso” in persiano, ndr), 64 anni, ha alle spalle un lungo passato di dirigente politico. Fervente sostenitore del fondatore del Regime, l’Ayatollah Khomeney, è stato deputato tra il 1980 e il 2000, prima di essere eletto membro dell’Assemblea degli esperti, un organo incaricato di sovraintendere alla Guida Suprema. E’ ancora oggi il portavoce dell’Ayatollah Khameney in seno al Consiglio Supremo della Sicurezza Nazionale. Non si può negare la fiducia che versa la Guida Suprema nei confronti di Rohani. Il neoeletto Presidente è anche membro dell’Associazione del Clero combattente, che riunisce i religiosi conservatori. Un “moderato” dal discorso senza mordente, privo di carisma e di spessore politico, che nessuno in Iran vedeva come vincitore fino a un mese fa. Ma il sostegno aperto dei due ex Presidenti Khatami e Rafsandjani e la rinuncia dell’unico candidato riformatore, Aref, a favore di Rohani hanno spinto quest’ultimo al rango di candidato frondista. In pochi giorni questa “unione sacra” ha mobilitato gran parte dell’elettorato che voleva boicottare lo scrutinio dopo la repressione delle manifestazioni del 2009. “Bisognava scegliere tra il meno peggio” sentenzia la strada che non si fa illusioni sulle qualità “democratiche” del nuovo Presidente. Gli iraniani si sono sentiti comunque confrontati ad una scelta, seppur ridotta, e non potevano fare a meno di poter dare una possibilità al destino. A differenza del 2009, dove si era parlato più di Democrazia e Diritti Umani, la campagna del 2013 è stata dominata dall’economia. La gestione caotica dei Governi dell’era Ahmadinejad, alla quale vanno aggiunte le sanzioni internazionali legate al Programma nucleare iraniano, hanno fatto sprofondare il Paese in una crisi senza precedenti. L’Iran ha così visto nel 2012 crollare la sua moneta (70%), un’inflazione galoppante (superiore al 30%), e 3,5 milioni di disoccupati. In questo campo il moderato non ha trovato nessuna ricetta miracolosa, se non un ammorbidimento della posizione iraniana sul nucleare con il fine di far attenuare le sanzioni. Il nuovo Presidente iraniano, che non mette in discussione il diritto dell’Iran ad avere centrali nucleari per uso civile, non è nuovo in materia. Negoziatore in capo del dossier nucleare durante il secondo mandato del riformatore Khatami (2001-2005), è lui che ha ottenuto nel 2003 la sospensione dell’arricchimento di uranio da parte del suo Paese, così come l’applicazione del protocollo aggiuntivo al trattato di non Proliferazione (TNP), risultati che gli sono valsi il soprannome di “Sceicco della diplomazia”.

Ma l’assenza di una contropartita da parte dell’Europa l’ha portato ad essere la vittima sacrificale dei conservatori iraniani, che l’anno accusato di mostrato dbolezza di fronte all’Occidente. La sentenza era stata senza appello. Nel 2005, appena diventato Presidente, Ahmadinejad lo congeda dal suo incarico. Rohani viene allontanato dalla scena politica, pur continuando a rivestire un ruolo di peso dietro le quinte. Verrà riabilitato otto anni dopo, firmando il suo ritorno nel migliore dei modi.

Oggi, anche se Khamenei assicura che si tratta principalmente della vittoria del Regime iraniano, la situazione ha preso una piega delicata per la Guida Suprema. La vittoria a larga maggioranza dell’outsider Rohani potrebbe segnare una piccola sconfitta per lui e per i potenti Guardiani della Rivoluzione, l’esercito di élite del Regime, che di fatto appoggiavano il conservatore Jalili. Con più di 50% di voti – e un 30% di astensionisti – la maggioranza degli iraniani ha dimostrato la volontà di cambiamento, giocandosi tutto su di un candidato che,  sembra voler mettere fine alle continue prove di forza con l’Occidente, atteggiamento latore di tutti i mali della loro economia. Il religioso Rohani farà suo questo appello? Molto dipenderà dalle sue relazioni con la Guida, dalla quale tutto dipende. Tutte le grandi questioni strategiche (nucleare, diplomazia, sicurezza) sono nelle sue di mani. Il vantaggio di Rohani è che sembra essere, a differenza di altri dirigenti riformatori come Rafsandjani e Moussavi, uno dei pochi a poter “gestire” la Guida Suprema. Dettaglio significante è il non aver mai pronunciato durante la campagna elettorale e nei dibattiti televisivi il nome die due leader del Movimento verde Moussavi e Karroubi, agli arresti ai domiciliari dal 2009. Né di proferire verbo sul bavaglio posto a stampa, attivisti, avvocati e politici riformatori. Un antagonismo troppo marcato tra i due principali personaggi al vertice dello Stato – come fu durante le due presidenze  del riformatore Mohammed Khatami tra il 1997 e il 2005 – si è dimostrato essere controproducente, deludendo tutti quelli che reclamavano un cambiamento rapido e drastico. Hassan Rohani non sarà l’uomo della rottura con il sistema rivoluzionario del quale è figlio. Per mollare la cinghia delle sanzioni che stanno soffocando il Paese, ridurre l’inflazione e rilanciare l’industria, Rohani non ha altra scelta che arrivare ad un accordo con l’Occidente sul nucleare, anche se questo è ancora lontanissimo dall’essere raggiunto. Legato a doppio nodo con la questione nucleare va il discorso guerra , sul quale l’Iran dovrebbe fare, alla luce di questi risultati elettorali, un passo in dietro. Questo priverà Israele di una forte leva (da qui la prima reazione dello Stato Ebraico che ha minimizzato il ruolo di Rohani e messo in guardia Europa e Stati Uniti sull’eventuale politica di ammorbidimento). Con lui, forse gli Stati Uniti, partner privilegiati degli iraniani per negoziare, potranno trovare un interlocutore diretto. La comunità internazionale tutta, monarchie del Golfo incluse, ha espresso speranza, ma ha anche dimostrato grande lucidità: la questione siriana pesa moltissimo sui rapporti internazionali nella regione, e l’Iran non è un attore secondario. Quello che Khamenei vuole è che il Regime regga. Se la linea dura avesse portato ad una aperta frattura internazionale e forse un coinvolgimento armato contro l’Iran, è evidente che per il Paese sarebbe stata una catastrofe.

La speranza è ben accetta, il 72,7 % degli iraniani che ha votato ha dimostrato al mondo intero quanto non fossero disincantati, ma per l’Iran la strada verso il cambiamento è ancora lunga.

 © Rivoluzione Liberale

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