#durandam. Questo l’hashtag (uomoinpiedi) che ha spopolato ieri su Twitter dopo che un artista turco nella notte tra lunedì e martedì è rimasto in piedi noncurante della violenza della polizia di Piazza Taksim. Numerose sono le immagini di queste proteste: tutto il mondo, grazie a queste, partecipa alle rivolte turche e le sostiene. Foto simbolo che esprimono la rabbia e la disperazione ma anche l’ostinata ricerca dell’ordine pubblico da parte delle autorità.
Marcia indietro. Questa la conseguenza a cui andrà incontro la Turchia di Recep Tayyip Erdogan se continuerà a far parlare di sé come una nazione che reprime le proteste della società civile con mezzi violenti. Senza cercare il dialogo.
Non solo. La recente dichiarazione del Premier turco che “non riconosce il Parlamento UE” sembrerebbe vanificare tutti gli sforzi fatti da questa nazione per essere accettata dall’Unione Europea. Come definire le recenti uscite del capo del governo? Bluff o passo falso? Non è chiaro. Quello che non lascia dubbi invece è che il leader del partito di Giustizia e Sviluppo sia deciso a mostrare i muscoli e a non rinnegare le azioni repressive di questi ultimi giorni.
Di fronte alla delicata situazione i leader europei sembrano, per una volta, far fronte comune. Con una recente risoluzione l’Europarlamento ha condannato i metodi dello Stato turco. Troppa la violenza da parte delle forze di polizia, esagerate le reazioni di sdegno di fronte all’esercizio di un diritto: quello della libertà di espressione del popolo.
Il rapporto positivo che legava Ankara al resto del mondo sembra sfilacciarsi sempre di più fino a rompersi. Seguire la linea dura di questi giorni significherà dire addio all’opzione europea? Eppure si stava costruendo una reputazione, la Turchia. Democratica, rispettosa dello Stato di diritto e dei diritti umani; tesa a soddisfare i criteri di Copenaghen, necessari al “debutto” nell’Unione.
“La Turchia non è un paese la cui agenda politica può essere definita da altri. La Turchia oggi definisce da sé la sua agenda politica”. Ecco quel che rimane della volontà di ferro del Paese, candidato all’adesione. Almeno nelle affermazioni laconiche di Erdogan. E l’Europa? Per ora si è offesa anche lei: la missione che era stata prevista per il 19 e il 20 giugno della commissione Esteri risulta rinviata a causa della difficoltà turca di “affrontare le critiche”.
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