A seguito del “tradimento” di Alfonso III d’Aragona con il Trattato di Campfranc del 1288, Giacomo II di Sicilia capì che bisognava agire in fretta ora che non aveva più l’appoggio militare e politico del fratello. Organizzò un potente esercito per sbarcare nei domini continentali ed ottenere così la battaglia risolutoria. Il luogo dello sbarco non fu scelto a caso ma fu previsto di prendere Gaeta; essa era la roccaforte portuale e militare che copriva il Regno da nord. Tutte le navi ed i rifornimenti che dovevano arrivare a Napoli dalla Francia dovevano, gioco-forza, passare da Gaeta o, comunque, averla amica o neutrale; una Gaeta controllata dal nemico sarebbe stata mortale per Napoli. Il Re di Sicilia si assicurò, con parecchio denaro, di scatenare una rivolta filo-siciliana in città che avesse scacciato la guarnigione dal potente forte. Una volta fatto questo sarebbe stato facile entrare in città e prenderne il controllo. Tuttavia la rivolta non ci fu e l’esercito siciliano sbarcò, il 30 giugno del 1289, trovandosi a dovere assediare la città; inoltre da Napoli stava arrivando l’esercito di Carlo II e così Giacomo II si trovò nella situazione di assediare Gaeta avendo il mare ed il nemico alle spalle. Nonostante ciò, il comportamento dell’esercito siciliano fu esemplare tanto che Carlo II dovette venire a patti. Si concordò lo sgombero di Gaeta ed una tregua militare fino al primo novembre del 1291.

Il 7 settembre del 1289, Giacomo II tornò a Messina (città ove abitualmente risiedeva). Ad oriente, intanto, le Crociate andavano di male in peggio ed ormai solo San Giovanni d’Acri resisteva. Niccolò IV fu colto da gravissimo senso di colpa in quanto, ormai da parecchi anni, tutti i soldi raccolti per le crociate erano stati spesi dal papato per finanziare gli Angiò e la loro guerra personale contro la Sicilia e l’Aragona ed il risultato era evidente: i Regni Latini d’Oriente non esistevano più e tutta la Terra Santa era tornata in mano islamica vanificando due secoli di lotte, guerre e sacrifici.

Il Papa mandò allora un ambasciatore a Giacomo II promettendo il suo perdono se il Re di Sicilia fosse andato in soccorso di San Giovanni d’Acri. Ma Giacomo II del perdono del Santo Padre non aveva cosa farne, voleva ciò che gli spettava: la Sicilia; così preparò una missione diplomatica per proporre al Papa le sue condizioni. Egli avrebbe armato a sue spese, ma solo per i primi quattro mesi, una spedizione per la Terra Santa ed in cambio chiedeva: Il riconoscimento del titolo di Re di Sicilia (con tutte le isole ed il tributo di Tunisi), il titolo di Re di Gerusalemme ed una tregua di cinque anni con Carlo II. Come atto dovuto, l’ambasciata passò prima da Alfonso III il quale, però, convinse gli ambasciatori siciliani ad aspettare che si facesse la pace tra Aragona, Francia e Papato come da accordi, una volta accaduto ciò tutto sarebbe tornato alla normalità. Ed in effetti, ancora una volta, Alfonso III pregiudicò gli interessi siciliani per favorire i propri.

Infatti, ritardando la missione siciliana, egli riuscì a chiudere la “sua” pace il 19 febbraio del 1291 a Brignoles. Con questo trattato Alfonso III otteneva il riconoscimento come Re d’Aragona, si impegnava a partire per la Terra Santa e si obbligava non solo a ritirare le truppe Aragonesi dalla Sicilia ma anche a convincere Giacomo II a restituire l’isola alla Chiesa (che l’avrebbe prontamente “girata” a Carlo II). Se Giacomo si fosse ostinato a “disobbedire”, Alfonso avrebbe voltato le armi aragonesi contro la Sicilia. Il trattato di Brignoles fu un tradimento esemplare e su tutta la linea. Ma Alfonso III non potè godersi la pace per cui aveva tradito il fratello ed i progetti del padre, perché il 18 giugno del 1291, a soli 27 anni, rese l’anima a Dio dopo tre giorni di improvvisa agonia. Nel testamento di Alfonso III era chiaramente scritto che dovesse succedergli, nel Regno d’Aragona, il fratello Giacomo II che doveva, tuttavia, rinunciare al Regno di Sicilia lasciandolo al giovane Federico. Giacomo II lasciò la Sicilia il 23 luglio del 1291 senza tuttavia abbandonare la corona di Sicilia come il testamento del fratello imponeva lui di fare.

In effetti nessuno protestò per questo “abuso” di Giacomo II di riunire in se le due corone; in effetti i Siciliani lo adoravano, egli aveva dato loro: un Regno, buone leggi, buona e giusta amministrazione ed una guerra di conquista, o per meglio dire di riconquista, dei domini continentali. Il prestigio militare siciliano era alle stelle e l’economia, in quel tempo, era in netta ripresa come ai vecchi tempi di Federico II.

Pertanto, quando il sovrano partì da Messina giurando eterno amore e devozione alla Sicilia e nominando il fratello Federico suo vicario nel Regno, nessuno, nemmeno il fratello che perdeva la corona, ebbe a risentirsene. Col tempo si sarebbe visto come l’affetto dei siciliani fu mal pagato e la loro fiducia mal riposta. All’inizio del 1292 le operazioni militari ristagnavano e Giacomo II cominciò a pensare, proprio come suo fratello Alfonso, di intavolare trattative per una pace generale con il papa Niccolò IV; tuttavia le trattative si arenarono per la morte del pontefice avvenuta il 4 aprile dello stesso anno. All’inizio dell’anno successivo fu, invece, Carlo II ad avere propositi di pace, ma i Siciliani cominciarono a temere di questi contatti e chiesero a Giacomo II se non fosse stato meglio cedere la Sicilia al fratello. Giacomo rispose sdegnato che essi non avevano nulla da preoccuparsi, niente e nessuno avrebbero mai potuto separarlo dalla Sicilia.

Tutto sommato non vi era motivo per non credere al Re che, fino ad allora, aveva mostrato un affetto incondizionato per l’isola, ed invece egli già trattava col nemico tanto che, il 14 dicembre 1293, egli sottoscrisse, segretamente, la pace a La Junquera. Le condizioni della pace erano semplicemente allucinanti, non fosse altro perché erano sottoscritte da colui che, per molto di più, pochi anni prima si era quasi indignato. Gli impegni furono i seguenti: vi sarebbe stata una tregua generale fino a che fosse trascorso un anno dall’elezione del nuovo pontefice (il soglio di Pietro era vacante da quasi due anni), Giacomo II sarebbe stato riconosciuto Re d’Aragona ed avrebbe sposato Bianca d’Angiò, figlia di Carlo II; in cambio egli avrebbe “restituito” a Carlo II tutti i domini continentali conquistati dai Siciliani fin dal 1282 ed avrebbe tenuto ancora per tre anni la Sicilia, termine scaduto il quale l’avrebbe consegnata al pontefice che avrebbe dovuto “custodirla” per un anno. Passato questo anno era ovvio che il Papa avrebbe dato la Sicilia agli Angiò e la cosa più grave fu che Giacomo II si impegnò a mandare truppe contro la Sicilia nel caso essa si fosse ribellata all’autorità papale.

Giacomo II, non può usarsi termine diverso, si “vendette” la Sicilia per un piatto di lenticchie. Il trattato restò segreto e doveva essere ratificato dal nuovo pontefice che venne, finalmente, eletto il 5 luglio del 1294 nella persona del mite e pio Celestino V (doti che, allora, per un Papa erano più un impedimento che una virtù) che ratificò l’accordo. Nel frattempo i Siciliani avevano intuito qualcosa e chiedevano spiegazioni, Giacomo II rispondeva loro indignato che non potevano e non dovevano nemmeno pensare che egli avrebbe mai potuto cedere la sua amata Sicilia: maramaldeggiava! Prima che il 1294 vedesse la fine Celestino V si “dimise” (caso tornato d’attualità in queste settimane) dal suo ufficio lasciando il soglio ad un personaggio a lui diametralmente opposto: Bonifacio VIII.

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