Il nuovo Papa Bonifacio VIII, eletto nel 1294, non era certo un uomo di preghiera e contemplazione e cominciò subito a tessere un bel tranello per i Siciliani per evitare che, all’attuazione del trattato di La Junquera, si fossero ribellati. Egli convocò a Roma il vicario Federico e gli propose di rinunciare ai suoi diritti di successione sulla Sicilia in cambio del matrimonio con Caterina di Courtenay figlia dell’imperatore di Costantinopoli Filippo.
Federico sarebbe così diventato Imperatore d’Oriente (anche se solo sulla carta perché l’Impero era tutto da conquistare anche se il Papa aveva promesso, al tal fine, generosi fondi) a patto di rinunciare ad eventuali titoli sulla Sicilia. Il tranello era perfetto così, alla restituzione dell’isola nessuno degli Aragona avrebbe potuto più rivendicare nulla. Federico, che dimostrerà nel tempo il suo immenso valore, capì la trappola ed accettò ad una condizione che il matrimonio avvenisse entro il 30 settembre del 1295.
Tutto contento Bonifacio VIII proclamò la pace generale il 20 giugno del 1295, perdonò tutta la famiglia reale d’Aragona (Costanza, Giacomo, Federico ed il giovane Pietro ultimo fratello), tutti i Siciliani e scagliò la scomunica contro chiunque avesse disturbato la pace. Ma l’imprevedibilità femminile mise lo zampino nel piano del Papa; infatti la promessa sposa di Federico scrisse al pontefice che due persone del loro rango non potevano sposarsi senza un territorio da governare: che il Papa provvedesse nelle more della riconquista dell’Impero d’Oriente. Bonifacio VIII non era tipo da arrendersi per queste “quisquilie” e, il 2 gennaio del 1296, scrisse trionfalmente a Federico di avere trovato la soluzione intimandogli, dunque, di prendere Caterina in moglie.
Lo scaltro ragazzo gli rispose che egli non si sentiva vincolato da alcun impegno considerato che il termine del 30 settembre del 1295 era scaduto da un pezzo ed il Papa, con tutto il castello di menzogne ordito alle spalle dei Siciliani, fu in seria difficoltà. Ormai tutti in Sicilia sospettavano qualcosa e Federico convocò un Parlamento a Milazzo nel quale si impegnò a mandare un’ambasciata in Aragona per chiedere al fratello spiegazioni sul trattato di pace sottoscritto.
Nel frattempo, l’isola stava per sprofondare nella guerra civile in quanto molti nobili non potevano credere che Giacomo II avesse venduto l’isola e ritenevano, dunque, che Federico stesse complottando contro il fratello per appropriarsi della corona, l’esito dell’ambasciata era fondamentale. Gli ambasciatori siciliani (Cataldo Rosso, Santoro Bisala ed Ugo Talac) arrivarono in Aragona il 29 ottobre del 1295, giusto tre giorni prima del matrimonio di Giacomo II con Bianca d’Angiò. Davanti agli ambasciatori siciliani egli non poté più negare di avere venduto la Sicilia e gli ambasciatori reagirono pesantemente, coprendolo pubblicamente di insulti e pretendendo che le sua “confessione” fosse scritta pubblicamente davanti ad un notaio.
Giacomo II reagì con grande dignità, ascoltò in silenzio gli insulti dei Siciliani, sapeva di meritarli, e sopportò persino (cosa impensabile per un uomo che aveva diritto di vita e di morte sui sudditi) che gli ambasciatori si stracciassero di dosso le loro vesti con le sue insegne dichiarando che il popolo siciliano era sciolto da qualsiasi vincolo di obbedienza nei suoi confronti in quanto spergiuro e traditore.
Il 15 gennaio del 1296 Federico fu proclamato, dal Parlamento riunitosi a Catania, “Re di Sicilia, Duca di Puglia e Principe di Capua” con l’antica formula che aveva contraddistinto i sovrani siciliani sin dall’incoronazione di Ruggero II d’Altavilla nel 1130. Questa particolare formula delineava anche la circostanza che i Siciliani consideravano “usurpatori” del Regno gli angioini di Napoli e, “tecnicamente”, avevano pienamente ragione. In ottemperanza agli accordi di pace i soldati aragonesi lasciarono la Sicilia, senza che peraltro qualcuno in nome di Bonifacio VIII venisse a reclamare il possesso delle fortezze.
Il papa promise buon governo, ma i Siciliani non lo ascoltarono ne considerarono ma, anzi, minacciarono pesantemente gli emissari del pontefice che erano venuti ad arringare le folle affinché si sottomettessero al potere di Pietro. In questa situazione avvenne l’incoronazione di Federico III di Sicilia a Palermo, il 25 marzo del 1296 all’età di ventidue anni. Federico III fu uno dei sovrani più amati, e forse il più amato, dal popolo siciliano. Egli fu il primo monarca al mondo a stipulare un vero e proprio patto costituzionale con il suo popolo (le c.d. Costituzioni Federiciane) dove si impegnava a non lasciare l’isola e a non stipulare paci e trattati senza l’intervento del Parlamento il quale, a sua volta, aveva l’obbligo di riunirsi una volta l’anno. Regnò per quarantuno lunghissimi anni e furono tutti di guerre e di sacrifici ma furono, forse, gli anni più fulgidi per il popolo di Sicilia che, da solo, combatté contro tutta l’Europa e mai si arrese ne mai cedette la propria libertà.
Il 3 maggio del 1296, compreso che ormai la Sicilia non si sarebbe consegnata con le buone, Bonifacio VIII scagliò la scomunica contro l’isola. Ma Federico non sembrò preoccuparsi della cosa più di tanto e già in giugno era in Calabria, con Blasco Alagona e Ruggero di Lauria, a conquistare città e castelli. Purtroppo però sorsero dei forti screzi tra il grande ammiraglio ed il Re. Sotto Pietro I e Giacomo II, Ruggero di Lauria era abituato ad avere carta bianca, mentre Federico voleva sempre avere l’ultima parola nelle decisioni. Durante l’assedio di Catanzaro vi fu un imprevisto per cui il Lauria fece una scenata al Re in persona il quale gli fece capire chiaro e tondo chi comandava e che, se la cosa non gli stava bene, poteva anche andarsene dal nemico. L’ammiraglio fu scosso in quanto non era abituato, visto il suo magistrale curriculum, ad essere trattato così.
Tuttavia egli si piegò al suo Re ma il rapporto si incrinò per non guarire mai più. Mentre le armate siciliane risalivano la Calabria conquistando città e castelli, Giacomo II venne obbligato a fermare il fratello e di conseguenza gli intimò di presentarsi ad Ischia per conferire. A questo punto Federico III fermò l’offensiva in Calabria ed ivi lasciò Blasco Alagona per tornare in Sicilia dove convocò un Parlamento a Piazza Armerina per capire se conveniva aderire all’invito, o sarebbe meglio dire all’ultimatum, del fratello ovvero rifiutarsi.
La maggioranza del Parlamento fu dell’avviso del Re: non presentarsi, mentre la minoranza capeggiata da Ruggero di Lauria tremava al solo pensiero di prendere le armi contro quello che, tutto sommato, era stato il loro Re. Ma Federico III restò fedele alla Sicilia e snobbò il fratello ed a questo punto la rottura con Ruggero di Lauria fu totale. Il 16 gennaio del 1297 Giacomo II era a Roma e scrisse a Ruggero di Lauria di raggiungerlo e di mettersi al suo servizio e lo stesso intimò alla madre ed alla sorella Iolanda che aveva promesso in sposa Roberto d’Angiò, figlio di Carlo II e suo erede.
La vecchia regina Costanza, ultima degli Hoenstaufen, era distrutta dal conflitto tra i figli ma decise di accompagnare la figlia alle nozze, in compagnia di Ruggero di Lauria, ed a questo punto l’intera famiglia aveva abbandonato Federico III e la Sicilia al suo destino che tutti davano per scontato.
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