Il 4 aprile del 1297, con il fratello Federico e la Sicilia ormai abbandonati da tutti, Giacomo II ricevette da Bonifacio VIII la Sardegna e la Corsica che furono inglobate nel regno d’Aragona come premio per la sua “fedeltà” alla causa papale. Questo ampliamento territoriale fu, per Giacomo II, davvero fondamentale in quanto egli possedeva ora il dominio navale sul Mediterraneo occidentale e poteva così lasciare più volentieri la Sicilia in balìa dei Francesi. L’estate del 1297 vide l’insurrezione dei feudi di Ruggero di Lauria, ormai passato al nemico, contro Federico III, ma le truppe regie soppressero tutto ed addirittura l’ammiraglio dovette fuggire verso Napoli perché sconfitto in una scaramuccia navale all’altezza delle isole Eolie. L’estate del 1298, dopo mesi di inutili trattative per evitare lo scontro armato tra fratelli, Federico III si convinse che sarebbe stata guerra ed approntò l’esercito, al comando di Blasco Alagona e la marina, comandata da Corrado Doria.
Nell’agosto del 1298, Giacomo II arrivò a Napoli con 80 galee comandate da Ruggero di Lauria: si preparava una tremenda spedizione contro la Sicilia che, sola contro tutti, avrebbe dovuto difendersi. Il primo settembre del 1298 l’imponente corpo di spedizione aragonese-angioino sbarcò a Patti che si arrese un giorno dopo. In pochi giorni il nemico occupò tutto il Val Demone e poi decise di puntare su Siracusa, ma la città si difese magistralmente ed il nemico ripiegò. Fu una lotta di popolo e non solo di eserciti, tutte le città ed i paesi si difendevano con ciò che avevano e mandavano soldi e soldati a Federico III; per i Siciliani quella guerra era tutto, significava affermare la propria fierezza e la propria libertà anche a discapito di forze contrarie soverchianti per uomini e mezzi. Il Re di Sicilia si trasferì a Catania per meglio controllare le sue truppe e, dalla Calabria, venne richiamato Blasco Alagona. Nel mese di gennaio del 1299 una flotta napoletana che aveva rifornito Patti era ripartita costeggiando il litorale tirrenico dell’attuale provincia peloritana. Saputolo Federico III preparò una spedizione navale per intercettare la flotta nemica. Le navi siciliane sbaragliarono il nemico (tutte navi aragonesi, antichi amici e sodali) e catturarono il comandante avversario: l’ammiraglio Giovanni Lauria (nipote del celebre Ruggero), il quale fu rinchiuso a Messina e giustiziato con la pena capitale su diretta sentenza del Re (egli, essendo un feudatario siciliano era passato al nemico tradendo il suo giuramento di fedeltà alla corona siciliana).
A questo punto, Giacomo II decise di tornarsene in patria e ritentare una spedizione in estate. Questa, per i Siciliani, fu già una grande vittoria, il grande esercito angioino-aragonese non era riuscito a piegare la loro resistenza ed ora se tornava con la coda tra le gambe lasciando, nelle città occupate, le scarse guarnigioni a difendersi dalla furia delle truppe di Federico III e del popolo irredento. Prima di tornare in patria Giacomo II propose al fratello uno scambio di prigionieri e delle trattative diplomatiche che furono respinte da Federico III su consiglio del cancelliere del regno Corrado Lancia. Entro il mese di aprile del 1299 tutte le città siciliane in mano al nemico caddero sotto l’assedio delle truppe siciliane. Ma il successo fu breve perché Giacomo II, profondamente irritato dall’ostinazione del fratello contro di lui, stava preparando un’invasione in grande stile.
Ancora una volta la Sicilia era in grande pericolo e non poteva contare sull’aiuto di nessuno se non di se stessa. La spedizione angioino-aragonese, forte di cinquantasei galee e del comando di Ruggero di Lauria e Giacomo II arrivò a Capo d’Orlando il 2 luglio del 1299 ed il giorno successivo arrivarono le quaranta galee siciliane con il Re Federico III alla guida. L’inevitabile battaglia fu perduta dai Siciliani perché Federico non volle ascoltare i suoi ammiragli che gli consigliavano di non attaccare nelle condizioni di schieramento in cui di trovavano le due flotte. Anche se la marina siciliana perse la battaglia, gli Aragonesi non furono in grado di inseguire le navi sicule che si ritiravano in quanto anch’esse avevano subito perdite enormi. Se sul mare la battaglia di Capo d’Orlando fu, inequivocabilmente, una vittoria aragonese sul piano politico essa fu una vittoria a metà perché non si potè dare ai Siciliani il colpo di grazia. Giacomo II restò profondamente colpito da questa battaglia. Egli stava continuando a combattere contro i suoi antichi sudditi che tanto lo avevano amato e stava contribuendo al loro massacro ed alla loro rovina, per non parlare del fatto che ormai aveva rotto un legame familiare ben saldo con suo fratello Federico. Egli si rese conto, quel giorno a Capo d’Orlando, che stava dilaniando i suoi soldi e la sua famiglia solo per fare un piacere al Papa ed agli Angioini (che peraltro non pagavano le somme promesse). Non vi era da trascurare, inoltre, il fatto che dall’Aragona arrivavano sempre più fitte le lamentele per una guerra che al regno non portava nulla di buono e costava tanto, forse troppo. Se era pur vero che Giacomo II aveva guadagnato Sardegna e Corsica era anche vero che con il fratello amico tutto il Mediterraneo sarebbe stato nelle mani della sua famiglia, ma con la Sicilia nemica tutto era instabile ed incerto. I primi di luglio del 1299, Giacomo II d’Aragona fece i “bagagli” e se tornò in Catalogna dicendo chiaro e tondo a Carlo II ed al Papa che lui la sua parte l’aveva fatta. Ma, come naturale, ne Bonifacio VIII ne, tanto meno, Carlo II gli credettero e cominciarono a diffidare di lui.
Per parte sua, Carlo II nominò suo figlio Roberto suo vicario generale in Sicilia e questo fu, per molti versi, un atto di buona volontà per mostrare ai siciliani che egli era ben disposto alla concessione di un’ampia autonomia. Ma la sconfitta di Capo d’Orlando creò diversi problemi anche a Federico III. Infatti molti feudatari cominciarono a capire che la Sicilia non poteva continuare a combattere da sola contro tutto il mondo e, prima o poi, Federico III sarebbe caduto e Carlo II sarebbe tornato Re in Sicilia, tanto valeva “accelerare” il processo per ingraziarsi l’Angiò e sperare, un domani, nella sua benevolenza.
Molti centri, compresa Catania, si arresero a Roberto d’Angiò e Carlo II organizzò una spedizione anche contro il Val di Mazara. La fine del XIII secolo sembrava dovesse coincidere con la fine del Regno di Sicilia come stato indipendente. Federico III si arroccò a Castrogiovanni (l’odierna Enna), inespugnabile fortezza del centro dell’isola, dove valutava il da farsi mentre gli attacchi si facevano sempre più insostenibili.
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