Alla fine del 1299 la Sicilia era sul punto di crollare definitivamente. La battaglia campale contro gli Angioini si svolse nella pianura fra Trapani e Marsala (dove attualmente si trova l’aeroporto di Birgi), il primo dicembre del 1299. La vittoria siciliana fu completa e totale e l’esercito franco-napoletano, guidato da Filippo d’Angiò Principe di Taranto e figlio minore di Carlo II, fu annientato e lo stesso Filippo preso prigioniero e rinchiuso nel castello di Cefalù. Carlo II, amareggiato e preoccupato per il figlio scrisse a Filippo IV di Francia (Re e suo parente strettissimo) di mandargli truppe di rinforzo. Ma nuovi dispiaceri attendevano il povero Carlo II. Nel febbraio del 1300 venne promesso, con un tranello, agli Angioini il castello di Gagliano (l’odierna Gagliano Castelferrato). Trecento cavalieri abbandonarono Catania per andare a prendere possesso dell’importante castello dove invece trovarono l’esercito siciliano che li sconfisse infliggendo una durissima perdita alle truppe nemiche che tenevano Catania. Nel frattempo, Bonifacio VIII era su tutte le furie perché non si riusciva a piagare i “maledetti” siciliani e cominciava a scrivere lettere di fuoco a Carlo II dove arrivava a dargli dell’incapace.

Persino i Cavalieri Templari (che dal Regno di Sicilia avevano tanto ricevuto) ebbero l’ordine di andare a combattere contro i Siciliani, era ormai evidente che la politica francese ed il papato erano tutt’uno. Federico III, imbaldanzito dai recenti successi decise di organizzare una spedizione navale contro Napoli e mise Corrado Doria alla testa di trentadue galee. Ancora una volta si peccò di presunzione nel modo di attaccare battaglia e considerata anche la superiorità numerica e tattica del nemico la sconfitta, avvenuta nelle acque di Ponza il 14 giugno del 1300, fu ancora più pesante di quella di Capo d’Orlando, ma per tutto il resto dell’anno non successe nulla di rilevante.

Nell’estate del 1301 vi fu un incontro segreto tra i i vertici militari dei due schieramenti: Blasco Alagona e Ruggero di Lauria. I due si accordarono sul fatto che la guerra dovesse, in qualche modo, cessare; sulle condizioni si sarebbero accordati i sovrani. La Sicilia fu, in quei mesi, tormentata dalla carestia e dalla mancanza di viveri, circostanze dovute al blocco navale che i nemici oramai effettuavano sui porti siciliani rimasti quasi senza più galee a difenderli. Eppure la Sicilia, contro tutti gli eserciti, le flotte e le previsioni, resisteva ancora e ad aumentare le disgrazie, nel settembre del 1301 arrivò la morte del prode generale Blasco Alagona. Venne il momento per parlare di pace.

Grazie alla mediazione di Iolanda d’Aragona (sorella di Federico finita in sposa a Roberto d’Angiò per il patto di La Junquera) Federico III e Roberto d’Angiò si incontrarono a Siracusa, nel febbraio del 1302. Si concordò un tregua e Federico III chiese la corona di Sicilia, la Calabria ed una figlia di Carlo II in moglie. Bonifacio VIII negò il suo permesso a questo accordo che, di conseguenza, non andò in porto. Nel frattempo Giacomo II, che aveva capito che prima o poi Napoli e Palermo avrebbero fatto la pace e lui sarebbe rimasto solo e nemico del fratello cercò di riprendere i rapporti con Federico.

I due si scambiarono lettere (Federico sapeva che con il fratello di nuovo dalla sua parte tutto sarebbe stato diverso) ed i rapporti cominciarono a distendersi. Vista la piega presa dagli eventi, Bonifacio VIII capì che non poteva più fidarsi degli Angiò e si organizzò direttamente con la “casa madre” per la quale egli agiva: il Regno di Francia. Egli sollecitò il fratello di Filippo il Bello, Carlo di Valois, a compiere una spedizione in Sicilia promettendo denaro e la mano di Caterina di Courteney, della quale evidentemente poteva disporre a piacimento visto che l’aveva già usata in una trattativa con Federico III.

Nel maggio del 1302 si riunì a Napoli una poderosa flotta al comando di Ruggero di Lauria che doveva imbarcare una spedizione contro la Sicilia: quella definitiva. Sbarcati a Termini Imerese gli Angioini andarono ad assediare Federico III che si era asserragliato a Polizzi. Carlo di Valois istigò Federico ad accettare battaglia, ma il sovrano siciliano era diventato accorto e prudente e non commise questo errore. Il Valois, smanioso di mostrare il suo valore militare andò a d assediare Sciacca, che il Lauria bloccava anche dal mare, ma la città resistette eroicamente per oltre quaranta giorni guidata da Federico Incisa. Federico III uscì allora da Polizzi e si trasferì nel castello di Caltabellotta per alleggerire la pressione su Sciacca. Carlo di Valois si vide perduto. Tutti i cavalli erano morti nei quaranta giorni di assedio ed i Siciliani incombevano minacciosi sul suo esercito senza che esso potesse arroccarsi dentro la città. D’accordo con Roberto d’Angiò mandò a Federico III due ambasciatori per proporre la pace. Essa, passata alla storia come pace di Caltabellotta, fu firmata il 29 agosto del 1302 e prevedeva le seguenti condizioni: Federico III avrebbe conservato a vita la Sicilia ma senza il titolo di Re di Sicilia che restava a Carlo II. Federico avrebbe assunto il titolo di Re di Trinacria (stato che formalmente non esisteva) ed avrebbe sposato Eleonora d’Angiò, figlia di Carlo II. Agli eredi di Federico III sarebbe stato concesso di regnare sulla Sardegna o su Cipro, con l’aggiunta di centomila onze d’oro.

Carlo II avrebbe restituito a Federico III tutte le città di cui era in possesso in Sicilia e, reciprocamente, Federico III avrebbe restituito tutti i territori da lui controllati in Calabria. Tutti i prigionieri sarebbero tornati a casa e tutti i ribelli avrebbero ricevuto il perdono (ma non la restituzione dei feudi). La pace di Caltabellotta fu il trionfo politico della Sicilia e di Federico III. Si era riusciti a conservare l’indipendenza dell’isola contro una coalizione delle più grandi potenze europee e senza alcun aiuto esterno. Molti criticarono Federico III perché aveva un titolo reale fittizio ed alla sua morte la Sicilia sarebbe tornata agli Angiò, ma bisogna tenere conto che la guerra non poteva ancora continuare senza distruggere, inevitabilmente tutta la Sicilia ed il suo tessuto produttivo.

La guerra, dopo vent’anni, doveva pur cessare e se alla fine gli Angioini se ne andarono questo fu, date le condizioni di partenza e di svolgimento del conflitto, un successo senza precedenti. D’altra parte, il Parlamento Siciliano mai si “ricordò” di ratificare quel trattato (che senza tale ratifica, secondo le costituzioni federiciane era nullo) e Federico continuò ad usare negli atti ufficiali di titolo di Re di Sicilia senza che suo suocero ebbe mai a lamentarsene. Persino Bonfacio VIII, non avendo più altri “santi” a cui votarsi e considerato che i rapporti con Filippo il Bello volgevano al brutto, ratificò il trattato il maggio del 1303, mentre l’anno prima aveva già tolto la scomunica alla Sicilia ed a Federico III. A concludere tutto, come in ogni buona favola, arrivò il matrimonio tra Eleonora d’Angiò e Federico III che si tenne a Messina nel maggio del 1303. 

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