Dopo il presunto utilizzo di gas nervino da parte del regime di Bachar al-Assad, il futuro della Siria è sospeso alle decisioni che dovrebbero prendere questa settimana le “grandi potenze” occidentali. Nell’attesa del voto del Congresso americano, giovedì o venerdì, e delle conclusioni del Rapporto delle Nazioni Unite, l’intervento militare alimenta il dibattito mondiale.
Il Presidente francese François Hollande, fino a ieri primo tra i leader europei interventisti, ha promesso di parlare ai francesi appena avrà preso una decisione su di un eventuale intervento militare, e probabilmente ricorrerà anche lui al voto del Parlamento per la decisione definitiva. Ma più passa il tempo, più la decisone da prendere diventa difficile. Il quotidiano tedesco Bild cita una fonte del BND, l’Intelligence tedesca, che afferma avere in mano l’intercettazione di una conversazione tra gli altri gradi dell’esercito siriano. Le sue conclusioni: Bachar al-Assad non avrebbe dato l’ordine di attacco chimico lo scorso 21 Agosto. Non lo avrebbe mai approvato personalmente, come generalmente accade per manovre militari di tale peso. Diversi ufficiali dell’esercito siriano “reclamano regolarmente da almeno 4 mesi attacchi chimici, ma queste richieste sono sempre state respinte e l’attacco del 21 Agosto molto probabilmente non è stato approvato personalmente da Assad”, scrive il Bild. La marcia in dietro di Obama e Hollande hanno qualcosa a che vedere con questo? Intanto gli oppositori all’intervento militare si fanno sentire. Il Ministro degli Affari Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha dichiarato che un attacco alla Siria sarebbe “illegale” secondo la Carta delle Nazioni Unite. Durante l’Angelus, Papa Francesco ha ribadito fermamente la sua renitenza alla guerra contro la Siria, denunciando “le guerre commerciali per vendere armi” e facendo appello ad “una giusta soluzione al conflitto fratricida”.
Dopo essere sembrato imminente, l’intervento militare degli Stati Uniti e della Francia in Siria sembra oggi se non ipotetico, almeno rimandato. Bisogna dire che il quadro legale di tale azione non è ancora rispettato. Se sembra essere dimostrato che la Siria (l’esercito sembra a questo punto avere in mano la situazione, molto più di Assad) abbia utilizzato gas nervino, ha violato il Protocollo di Ginevra del 1925, che ne vieta l’uso, e la Convenzione del 1993 che ne vieta l’uso e il possesso. Ma il Protocollo di Ginevra non prevede un meccanismo di sanzioni. E la Siria non ha firmato la Convenzione del 1993. Il Diritto Internazionale è preciso. Non si può utilizzare la forza, salvo in caso di legittima difesa e di decisione del Consiglio di Sicurezza delle NU, con un voto favorevole di due terzi dei suoi membri e senza alcun voto negativo di uno dei suoi cinque membri permanenti. I partigiani di un intervento in Siria contrappongono la legittimità alla legalità. Il problema è che la legittimità ha sempre una valutazione soggettiva rispetto alla legalità. E il concetto del “dovere di proteggere”, che viene evocato per agire, non è operativo, perché è condizionato dal Consiglio di Sicurezza. A breve termine, la credibilità degli Occidentali verrebbe colpita se, dopo le molteplici dichiarazioni dei suoi leader, non succedesse niente. Ma a medio e lungo termine si potrebbe rafforzare la legittimità del Consiglio di Sicurezza andando nel pieno interesse di Francia e Stati Uniti che ne sono membri permanenti e che potrebbero lavorare dall’interno in favore di un rafforzamento della sicurezza collettiva. Certo si può decidere di appartenere a civilizzazione “diverse” dai Russi e Cinesi, credere che non sarà “mai” possibile arrivare ad un accordo con loro e che è quindi meglio affrancarsi dalle regole del Consiglio di Sicurezza quando questo è necessario, come pensavano ad un certo punto diversi neo-conservatori che volevano formare una “coalizione” democratica dicendo peste e corna sulle Nazioni Unite, “ostaggio” delle dittature, senza però avere garanzie su cosa potesse succedere a lungo termine portando avanti tale atteggiamento. Ma non sarebbe meglio arrivare ad un avvicinamento guardando più lontano? Partire dal Mondo così com’è e farlo evolvere positivamente? Siamo diversi, abbiamo delle divergenze, abbiamo idee e interessi che non condividiamo, ma a lungo termine la scelta del multilateralismo non sarebbe la meno costosa? L’indebolimento del Consiglio di Sicurezza si ripercuote sui membri permanenti e sulla sicurezza collettiva. In un recente passato, due occasioni sono state perse, e questo spiega in parte gli attuali blocchi di Mosca. Nel 1999, Corbaciov aveva mollato il suo alleato iracheno a vantaggio del rafforzamento sicurezza collettiva. Per la prima volta, il Consiglio di Sicurezza aveva agito come l’avevano previsto i redattori della Carta dell’ONU. Invece di ringraziarlo, gli americani hanno pensato che fosse debole e hanno trattato Mosca come fosse la perdente della Guerra Fredda. Nel 2011, l’idea del “dovere di proteggere”, che aveva il vantaggio di evitare la scelta tra inazione ed ingerenza, è stata compromessa. Se si fosse voluto farla valere in Siria, sarebbe stato meglio non calpestarla in Libia. Ricordiamo che all’epoca, i Russi come i Cinesi si erano astenuti nel votare la Risoluzione 1973. L’intervento militare era stato organizzato per impedire un massacro a Bengasi per mano di Gheddafi, ma dopo i primi successi dell’operazione, Parigi e Londra hanno deciso di dare una svolta alla missione e arrivare così a far cadere il Regime. Dopo sette mesi Gheddafi è stato deposto. I Russi come i Cinesi non hanno dimenticato la lezione. Se Gheddafi è stato ucciso alla fine dell’intervento autorizzato con la Risoluzione 1973, il concetto del “ dovere di proteggere” è stato, lui, gravemente compromesso.
Perché non riconoscere questi errori e riprendere con Mosca e Pechino un dibattito sulla sicurezza collettiva chiedendo loro quali sono i casi per i quali sarebbero pronti a mettere in pratica il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite? Il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite non è, come pensava Churchill della Democrazia, il peggior sistema eccezion fatta per tutti gli altri sperimentati finora? E se dopo il G20 di San Pietroburgo c’è un vero e proprio braccio di ferro tra Russia e Stati Uniti non siamo per questo in un clima di Guerra Fredda. Il Mondo non è più bipolare, la politica non si riassume più nel confronto tra le due capitali. Gli altri partecipanti al G20 non sono né alleati allineati, né spettatori passivi e muti. La Russia non è più il Paese debole e indeciso degli anni ’90, Putin lo dirige con mano ferma e si fa sentire da Washington senza problemi, ma non è più a capo di un’alleanza mondiale che controlla mezza Europa e con basi e alleanze in Africa, Asia e Caraibi. Stessa cosa per gli Stati Uniti. A San Pietroburgo il Ministro degli Affari Esteri cinese ha fatto capire che per lui l’ONU ha ancora un ruolo importante nel risolvere la crisi in Siria. Un ottimismo paradossale, visto che gli USA pensano che il Consiglio di Sicurezza, a causa dell’intransigenza dei Russi, non può essere sbloccato. Ma il fatto che Washington non escluda di tornare a votare una Risoluzione è forse il segnale che la soluzione politica e il gioco diplomatico sono la strada giusta (o l’unica strada?) per risolvere la tragedia siriana.
© Rivoluzione Liberale
