Più di seicentomila siriani sarebbero scappati dalla guerra per raggiungere la Giordania vicina. Un flusso di rifugiati che la piccola monarchia assorbe con molta difficoltà.

Dopo le centinaia di migliaia di Palestinesi accolti in seguito all’indipendenza di Israele nel 1948 e i 450mila iracheni fuggiti alle bombe del 2003, oggi sono più di 600mila i siriani che hanno attraversato il confine giordano per sottrarsi al sanguinario conflitto che ha avuto inizio nel 2011. Questi nuovi arrivi vanno ad incrementare la popolazione di siriani, istallati da lungo tempo (circa 70mila persone) nel Paese, e soprattutto ad indebolire l’economia della monarchia Hascemita. Una minaccia rilevata recentemente dal Governatore della Banca Centrale di Giordania, Ziad Fariz che ha tenuto a precisare che  “l’impatto dei rifugiati siriani sull’economia è enorme, oggi, ma anche a lungo termine sulle risorse, sulle spese, ma anche sull’ambiente”. Aggiungendo anche una puntualizzazione in numeri:  “i rifugiati siriani avranno un impatto del 2% sulla nostra crescita. Per il 2013 avevamo previsto un 5% di crescita e oggi non abbiamo raggiunto che il 3%.” La Giordania (6,5 milioni di abitanti), è la più piccole economie della Regione dopo quella del Barhein e soffre già di una piccola recessione. Il Paese è appena uscito con non poche difficoltà da una pesante crisi finanziaria e accusa ancora oggi il colpo di un aumento delle sue spese nell’importazione energetica, così come l’incremento continuo del costo delle sue prestazioni nel campo del welfare. Giorno dopo giorno però, diverse centinaia di siriani continuano a passare la frontiera per scappare dai combattimenti. La maggior parte dei migranti si è dispersa tra città grandi e piccole del Paese, soprattutto del Nord. Il 30% circa però si è fermato nei campi dalle condizioni di vita piuttosto precarie. Zaatari ne accoglie da solo quasi 130mila persone, controllate continuamente da ONG internazionali e dalle autorità locali.

Dall’inizio del conflitto, molti arrivano in condizioni precarie, feriti o traumatizzati. Tocca alla Giordania, Paese amico, di occuparsene. Ma molto presto la situazione sovrasta lo Stato giordano. “Gli ospedali pubblici non hanno sufficiente capacità di accoglimento. Mentre le strutture private, non aprono volentieri le loro porte ai poveri, Giordani come Siriani”, afferma Marc Schakal, capo della missione di Medici senza Frontiere in Giordania. Nel 2006, MSF apriva ad Amman, capitale della Giordania, un centro specializzato in chirurgia plastica e per la ricostruzione. “Accoglieva essenzialmente i feriti gravi del conflitto in Irak. Dal 2011, inizio del conflitto in Siria, accogliamo un numero incredibile di siriani. Rappresentano oggi il 20% dei nostri pazienti”. Per aggravare le cose, il rischio di una penuria d’acqua si fa sempre più pressante in un Paese già classificato come uno dei più poveri in risorse idriche. Nelle regioni che contano molti rifugiati, l’approvvigionamento di acqua si è drasticamente ridotto e un gran numero di villaggi deve accontentarsi di due o tre rifornimenti al mese e a prezzi fuori mercato. I rifugiati siriani sono per la maggior parte operai e artigiani non molto qualificati. Per lavorare in Giordania bisogna trovare un kafil (una sorta di tutore) giordano e fornirsi di un permesso di lavoro per il quale ci vogliono circa 400 euro. In pochi hanno i mezzi per darsi questo status. Risultato: il 45% degli uomini siriani in grado di lavorare (circa 120mila persone) sono assunti per lavori poco qualificati e sottopagati. Una concorrenza “sleale” per i manovali giordani, cosa che rischia di far salire la tensione sociale.

Altro punto dolente: la casa. Con questo flusso di popolazione, appartamenti e case si fanno sempre più rari. Un’offerta ridotta porta ad un aumento dei prezzi, che è arrivato al 300% nel Nord del Paese. La popolazione locale, più povera della media nazionale, non ce la fa. Nasce così una sorta di “esasperazione della società giordana nei confronti dei rifugiati”, spiega un esperto. Se per ora non ci sono stati atti di violenza pesanti tra giordani e rifugiati (o viceversa), le autorità stanno prendendo in considerazione di regolamentare con più fermezza l’ingresso dei profughi, se non addirittura chiudere la frontiera. Cosa già messa in atto per qualcuno secondo Amnesty International che denuncia nel suo Rapporto 2013 il rifiuto di asilo opposto ad alcuni siriani e la procedure, sempre più frequenti di riaccompagno alla frontiera. Davanti al compito sempre più impegnativo, le autorità giordane si sentono sempre più inadeguate. Dall’inizio della guerra civile siriana, il Regno ha già speso 1,7 miliardi di dollari in aiuti ai rifugiati (acqua, cibo, alloggi, scuole). Un buco nel bilancio giordano che ha obbligato la Monarchia a chiedere al Fondo Monetario Internazionale un prestito di 2 miliardi di dollari.

 La Giordania si appella ai suoi partner internazionali per far si che gli aiuti finanziari non si esauriscano perché il Paese non ha fondi infiniti. Appello rilanciato da Antonio Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che ricorda che “il flusso di Siriani si aggrava”. Un appello recepito anche (parzialmente) dall’UE, che ha annunciato lo sblocco di 85 milioni di euro per i rifugiati. Fondi prelevati dai 400 già raccolti in Giugno, con molte difficoltà, dall’Alto Commissario per i Rifugiati. Barroso ritiene che questo gesto è un opportunità per ricordare che la guerra in Siria e la sorte dei rifugiati rimarranno “una macchia sulla coscienza del Mondo.”

© Rivoluzione Liberale

 

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