Riportiamo l’intervista rilasciata dall’onorevole Stefano de Luca al mensile “il Cittadino” di Pescia (PT), sulla commemorazione del XXV° anniversario della scomparsa di Leonardo Sciascia

Quale significato assume il XXV° anniversario della scomparsa di Leonardo Sciascia? E come vorrebbe sintetizzarlo?

Amaramente la morte di Leonardo Sciascia ha rappresentato la fine di una lunga stagione di grandezza della cultura letteraria italiana. Dopo non abbiamo più visto nulla che anche approssimativamente potesse reggere il paragone. L’Italia, purtroppo, ha perso il primato nel campo artistico, che le apparteneva da secoli.

Ripensando alla sua vita, cosa la colpisce in particolar modo?

Ho avuto il privilegio di conoscerlo personalmente. Ho quindi potuto apprezzare, accanto alla enorme cultura ed alla straordinaria conoscenza della sua terra, la Sicilia, una altrettanto grande modestia, una non comune capacità di ascoltare, una libertà di giudizio ed una modernità straordinarie, ancora più sorprendenti, perché emanavano da una uomo che non esiterei a definire “antico”, sia nello stile, che nella sua identità più profonda.

Secondo Lei, quale messaggio efficace scaturisce dalla sua encomiabile produzione letteraria, giornalistica e politica? E, soprattutto, a chi si rivolge?

Il grido di dolore di una Sicilia straordinariamente amata, ma soffrente, con valori profondi, insieme a problemi che nessuno ha mai nemmeno voluto capire, nè tanto meno affrontare. Il suo è stato il disperato tentativo, controcorrente, di uscire dallo stereotipo, per questo non è stato compreso e, a volte, volgarmente offeso. Dai suoi capolavori esce principalmente il senso di impotenza per una terra che nessuno cerca di capire ed aiutare ed in cui  essa stessa appare incapace di  reagire come dovrebbe.

Cuore e intelligenza quanto hanno prevalso nella vita di Leonardo Sciascia?

Nella sua vita, comprese le non poche contraddizioni che l’hanno segnata, emerge chiaramente che cuore ed intelligenza sono state sempre fuse come un tutt’uno. Capire, studiare, approfondire si sono  coniugati con amare, sperare, sognare. In Sciascia le profonde radici culturali si intrecciano con i rami protesi verso l’infinito dell’utopia.

Quali sono stati i tratti più specifici di Sciascia-politico?

La politica non era il suo mestiere. Tutte le volte che vi si accostò, lo fece d’istinto, il più delle volte rimanendone profondamente deluso e, quindi, dovendosi pentire di molte delle sue scelte.

Come giustifica la sua adesione al Partito Radicale dopo una lunga ed encomiabile e travagliata militanza nel Partito Comunista Italiano?

La militanza di Leonardo Sciascia nel PCI fu travagliata, ma non lunga, anche se, prima di sceglierne la strada, osservò per parecchio tempo e con interesse, quel movimento politico e fu influenzato dall’egemonia che esso esercitava su tutto il mondo culturale ed artistico di allora. Potrei affermare che, in un uomo essenzialmente anticonformista, fu l’unica scelta motivata da un certo desiderio di omologazione culturale con il filone di pensiero prevalente. Se ne pentì amaramente e divenne, avendolo conosciuto dal di dentro, un critico spietato di quel partito con una chiusura asfissiante, di quella filosofia economica e sociale destinata alla sconfitta, di quei metodi, di quel “settarismo religioso”, per un uomo libero come lui, assolutamente insopportabili. L’adesione al Partito Radicale fu un gesto simbolico di ribellione al conformismo ottuso ed asfissiante del comunismo di allora, un gesto di affermazione della sua libertà. In seguito, anche quell’esperienza si rivelò, almeno in parte, deludente e si allontanò. Uno spirito libero come il suo non  poteva in nessun modo accettare di rimanere prigioniero di una gabbia partitica, anche quella meno militarizzata dei radicali. Principalmente lo stancarono la ripetitività di certe parole d’ordine e di certe estremizzazioni teatrali. Per tale ragione, negli ultimi anni, si definiva un liberale. Credo che una volta mi abbia anche votato, senza dirmelo esplicitamente, ma facendomelo capire.

Perchè fu sempre considerato un “personaggio scomodo” visto il suo alto senso dello Stato e la sua grandissima passione civile?

Per la stessa ragione per cui entrò in conflitto col Partito Comunista, da uomo libero, che coltivò sempre il primato dell’intelligenza. Per tale ragione fu scomodo, anzi scomodissimo. Quando dominava la mafia in modo avvolgente e, spesso invisibile, denunciò l’anomalia del silenzio omertoso sul fenomeno degenerativo che essa rappresentava e, coraggiosamente, si scagliò contro di essa, i silenzi e le omissioni dilaganti. Quando si accorse che una certa antimafia di facciata era soltanto costituita da proclami e gesti esteriori, non esitò a condannare i “professionisti dell’antimafia”, sperimentando sulla propria pelle il settarismo spietato di certi ambienti, le cui pallottole uccidevano come quelle della mafia stessa e venne lasciato solo, come avvenne dopo per certi magistrati, che pagarono con la vita la condizione di isolamento, che derivava dall’aver scelto di essere soltanto fedeli servitori dello Stato, rifiutandosi di iscriversi al partito dei PM militanti..

A Suo avviso, preso atto della sua vita, quale posizione avrebbe preso sulla situazione politica di oggi?

La risposta a questa domanda è fin troppo facile: sarebbe stato semplicemente disgustato, di fronte ad una politica senza idee, priva di valori ed identità, ma protesa soltanto alla conquista del potere, attraverso partiti leaderistici e personali. Sciascia aveva una concezione etica del ruolo dello Stato, laico si, ma guidato da una visione morale volta al bene comune.

© Rivoluzione Liberale

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