È necessario “imboccare la strada delle politiche per l’occupazione e la crescita, che possono rendere più evidenti le ragioni del nostro progetto di integrazione”, solo in questo modo si possono combattere “il disagio” e le “spinte populiste” che purtroppo guadagnano ogni giorno posizioni.
Il Capo dello Stato, uno per tutti, assicura che la classe dirigente vuole andare oltre l’attuale “difficile fase storica” costruendo “un’immagine internazionale più in linea con le potenzialità” del Paese “su solide fondamenta”. I “complessi problemi interni” andrebbero in pratica ampiamente superati per fare spazio ad un “rinnovamento del nostro sistema Paese in un’Europa più integrata”.
Con questo spirito, dopo due giorni di trattative dure, i ministri dell’Ecofin hanno raggiunto un accordo di compromesso a proposito di meccanismo comune di salvataggio e liquidazione ordinata delle banche – l’integrazione presuppone delle garanzie economiche – accordo fondamentale per finalizzare il progetto di Unione bancaria che invece sembra essere ancora lontana. La grave crisi economica, in effetti, non potrà mai essere superata se non si agisce seriamente sugli elevati tassi di interesse sborsati dalle imprese italiane – come anche quelle spagnole ad esempio – penalizzate rispetto ai concorrenti tedeschi.
In questo contesto la stabilità politica è necessaria – l’affidabilità di un Paese dell’Eurogruppo non può prescindere da un proprio sistema politico stabile e risolutivo sul piano delle riforme – ma il progetto complessivo dell’Unione bancaria (che comprende la già approvata vigilanza centralizzata presso la Bce e la garanzia comune sui depositi) più che rivelarsi un semplice progetto economico dovrebbe avere, nel contempo, una valenza politica che non si concretizzi esclusivamente in vaghe misure di solidarietà offerte dai Paesi più forti ai Paesi più deboli. “Gli stati nazionali devono unire le proprie forze per costruire l’Europa politica” come ha rimarcato Napolitano intervenendo alla Farnesina.
Sulla scia delle raccomandazioni del Capo dello Stato alla classe dirigente Letta assicura: “Non è nostra intenzione sfasciare i conti pubblici, vogliamo tenere i conti in ordine, come farebbe qualsiasi saggia famiglia”. Per il presidente del Consiglio “tenere i conti in ordine è una base per la crescita come quella che avremo l’anno prossimo e per tenere i tassi di interesse bassi”. Il premier conferma l’obiettivo di crescita dell’1% per il 2014 che dovrebbe essere “una anno di piena crescita”, e prevede di nuovo un 2% in più per il 2015. “È alla nostra portata”, afferma Letta puntando il dito sull’Unione bancaria europea: “Se l’Europa è andata in crisi è perché non c’era l’Unione bancaria. La crisi non sarebbe stata così violenta”. La prossima parola d’ordine per l’Italia e per l’Europa dovrà essere “crescita”.
Ora tutta l’attenzione è focalizzata sulla famigerata legge di Stabilità il cui primo obiettivo sembra essere proprio quello di “non sfasciare i conti”, in pratica investire e spendere “senza rimettersi a fare i debiti”, ha rimarcato il premier rispondendo implicitamente al leader degli industriali e sottolineando che nessuno ha la bacchetta magica.
L’Italia aspetta però quella famigerata “inversione di tendenza” che “porterà più calore e più crescita”; è necessario inoltre un intervento europeo per modificare il tasso di cambio dell’euro che anche Letta definisce “maledetto”.
Secondo la diagnosi di Confindustria i danni economici sono questi: “Le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. Anche i poveri sono raddoppiati a 4,8 milioni”. In sei anni “le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, ossia 5.037 euro in media l’anno”. Una vera e propria “emorragia occupazionale” per cui Squinzi afferma: “Non c’è nessun paese dentro e fuori l’Europa in cui le lancette dell’economia siano tornate così indietro a causa della crisi”. Un contesto socio-economico così a rischio porta viale dell’Astronomia a citare Nelson Mandela: “Vincere la povertà non è un gesto di carità”.
Napolitano auspica che le elezioni europee di primavera siano “lo spartiacque per un’Europa della crescita, dello sviluppo e dell’occupazione” e sottolinea che la riduzione della spesa pubblica “non è più rinviabile”. Il Capo dello Stato evoca la capacità dell’Ue di rispondere alla globalizzazione e sottolinea che bisogna reagire al “crescente tecnicismo del dibattito in sede europea”, un “tecnicismo esasperato che è di fatto una delle cause della estraniazione dei cittadini dal dibattito europeo, offrendone un’immagine riduttiva e asfittica”.
Occorrono “pragmatismo” e “visione strategica” per avvicinare i cittadini all’Unione e per farli sentire parte integrante di essa. Gli Stati Uniti d’Europa si costruiscono sul piano politico costruendo un ampio consenso sul fronte sociale. Affermava Luigi Einaudi, uno dei fautori degli Stati Uniti d’Europa: “Siete […] decisi a dare il vostro voto e il vostro appoggio soltanto a chi prometta di dar opera alla trasmissione di una parte della sovranità nazionale ad un nuovo organo detto degli Stati Uniti d’Europa? Se la risposta è affermativa e se alle parole seguono i fatti, voi potete veramente, ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna”.
L’Unione europea ha raggiunto il traguardo della pace dopo la guerra ma oggi è nuovamente minacciata da una guerra diversa: una guerra economica che non lascia molto spazio a sogni di vaga o tantomeno rigorosa ‘ricostruzione’ e rischia di depotenziare la libertà dei cittadini europei più svantaggiati.
Per sfuggire alle insidiose conseguenze dell’opzione statocentrica, Luigi Einaudi suggeriva di imboccare la strada della federazione, disciplinata e retta organicamente da un governo sopranazionale, a cui i vari componenti dovevano cedere buona parte della loro sovranità. Era questo, per Luigi Einaudi, il percorso obbligato per conseguire la pace e potenziare la libertà in Europa e nel resto del mondo. Dopo circa cinquant’anni le questioni sulle quali ci si interroga sono paradossalmente molto simili.
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