Tutti i partiti e movimenti sulla scena gridano in coro di avere un’agenda. L’agenda, benché sia una parola latina, è però una parola inglese da poco entrata nel lessico politico italiano finto-modernista. Fino all’arrivo di Mario Monti non si parlava di agenda, ma di programma. Poi la moda ha preso il sopravvento e la confusione è fatta: molta agenda con le sue priorities e nessun programma, nessuna prospettiva di futuro, né un sogno, un’idea dell’Italia che avremmo il diritto e persino il dovere di immaginare di qui a vent’anni.
Noi liberali siamo diversi: abbiamo prima di tutto un’idea di futuro, un sogno rivoluzionario radicale fondato sul ripristino della libertà come caposaldo da cui far discendere tutto il resto, e poi da questa posizione unica sulla scena politica traiamo le conseguenze e giudichiamo le singole mosse governative o dell’opposizione. Il loro panorama è squallido: nella totale mancanza di un’idea guida, di una ragion d’essere liberale, i provvedimenti gettati sul tavolo come dadi sono in genere piccoli rimedi, astuzie contabili, truffe ideologiche, ipocrisie più o meno velate. Nessuno, tranne i liberali, ha idea del profondo malessere, antico e recente, che corrode e distrugge la società italiana sia nel corso della terribile crisi che stiamo attraversando, sia nel corso della storia dei 150 anni di unità all’insegna dell’autoritarismo crispino, del dogmatismo e populismo cattolico, del fascismo, dell’egemonismo illiberale del più potente partito comunista del mondo occidentale e di tutte le frange populiste, localiste, egoiste, campaniliste, mafiose, camorriste. ‘ndranghetiste, fino agli exploits del finto modernismo delle nuove generazioni Erasmus, che hanno imparato un fluente inglese scolastico senza aver capito le ragioni del primato liberale della rivoluzione inglese del 1688 e di quella Americana del 1776. I liberali in Italia non sono mai mancati, i nomi di eccellenza – da Cavour a Croce, da Einaudi a Malagodi – sono nella storia d’Italia, ma in mancanza di una rivoluzione liberale anche questi nomi d’eccellenza non hanno potuto avviare il processo di una democrazia il fondamento di una democrazia fondata sul primato della libertà e sul rispetto sacrale per il singolo individuo. Tale principio è stato infatti eluso, evaso, ignorato e spesso deriso da cattolici, socialisti fascisti, e comunisti che in varie forme convergenti hanno dettato la loro comune agenda ad un’Italia intimidita e costretta a rifugiarsi nelle ridotte del conformismo e dell’ipocrisia.
La stagione del berlusconismo, poi, ha soltanto confuso le acque: Berlusconi ha innalzato per conto suo le nostre bandiere, ma non è stato in grado sia pure di avviare timidamente la promessa rivoluzione liberale. Queste ci sembrano le ragioni per cui noi oggi abbiamo l’obbligo morale – di fronte allo smarrimento degli italiani – di assumere con decisione una leadership politica, ideale e morale fatta prima di idee forti e di uomini in grado di incarnare e rappresentare quelle idee.
Le agende di cui dicevamo all’inizio sono fumo negli occhi degli italiani per mascherare diversi e concorrenti tentativi di pura presa del potere attraverso il colpo di Stato strisciante, condotto scollegando la volontà popolare dall’identità del governo. Una tossina letale è stata immessa nel circolo della nostra Repubblica: quella secondo cui votare è sostanzialmente un disturbo al conducente, una minaccia per i mercati globali, una pratica purtroppo inevitabile ma costantemente rinviabile e comunque deprecabile.
Tutte le improbabili ricette di cucina economica proposte in modo balbettante anche dal governo Letta per far fronte alla crisi, non sono che esercizi paralitici per nascondere la volontà conservatrice di stare al potere e non schiodare. D’altra parte, va onestamente riconosciuto che il governo Letta, nelle condizioni date e senza la minima volontà di promuovere una rivoluzione politica, fa il massimo che sia concesso a un malato legato a una sedia a rotelle che spera soltanto di sopravvivere ma non di tornare a vivere.
Il Movimento 5 Stelle, non privo di una sua saltuaria genialità, ha scelto una linea comunque immobilista di protesta, nella totale assenza di una strategia globale, di un’idea forte per il Paese, prigioniero di una nube di frantumi privi di organizzazione politica.
La Lega Nord, che pure ai suoi inizi sembrava venata da una corrente rivoluzionaria liberale – pur fra tante confusioni e localismi – è di fatto estinta. Il nuovo centro destra è totalmente esente da qualsiasi idea, ideale e prospettiva globale, trincerato com’è nella scatola governativa che costituisce la sua ragion d’essere e la sua unica occasione di vita.
Quanto al mondo frammentato e frammentato degli esperti di tecniche finanziarie e ricette di economia salvifica, si tratta per lo più di un mondo che non ha e non avrà mai nulla a che fare con l’identità liberale, con i principi di una economia che privilegi sempre la concorrenza, la selezione delle scelte migliori, delle procedure e degli uomini migliori, promuovendo quindi un sistema di istruzione fondato sul riconoscimento delle differenze, delle eccellenze, del fattore umano e del fattore tecnico che hanno sempre costituito il miglior materiale genetico dell’imprenditoria industriale e dell’artigianato italiano.
Né un governo Letta, né un governo Renzi ad impronta toscano-futurista hanno gli strumenti per comprendere l’urgenza immediata di una rivoluzione liberale immediata anche in presenza della crisi.
Una rivoluzione, che non sia una stentata promessa di riforma deve avere un carattere di rottura secca con il passato. Noi liberali vogliamo restituire il potere al popolo sovrano insieme agli strumenti di comprensione e di valutazione, attraverso l’esercizio rivoluzionario della libertà e della responsabilità.
Il nostro Paese ha caratteristiche totalmente diverse da quelle di qualsiasi altro. nel bene e nel male. Nel bene, è la più grande riserva di cultura e arte dell’umanità con la capacità di seguitare a produrne grazie alla sua straordinaria combinazione genetica. Nel male perché l’Italia ha sofferto ogni sorta di soffocamento della libertà e ha visto negato il suo primato quando altre grandi nazioni – l’Inghilterra, gli Stati Uniti e la Francia – ne conquistavano l’uso e il diritto.
Oggi ci troviamo allo snodo cruciale. Un nuovo leader, Matteo Renzi, ha acquistato i titoli democratici per competere con la sua leadership ed è giusto che così sia. E’ giusto che venga restituito agli italiani il diritto di votare subito e scegliere i suoi leader. Pensiamo che Renzi voglia le elezioni subito e che sia un suo diritto e dovere volerlo.
Il nostro diritto e dovere è competere con Renzi e dichiarare che le sue proposte politiche sono opposte alle nostre, che lui rappresenta giustamente ciò che noi non vogliamo perché la sua leadership è del tutto illiberale e costituisce un pericolo per la democrazia. L’idea di Renzi di rottamare il Senato per fare cassa nella misura di un miliardo di euro, è inaccettabile: si deve dare al Senato una funzione diversa dalla Camera, ma non può essere abolito e trasformato nella sede stuccata e stucchevole della conferenza Stato-Regioni. La sua priorità per una nuova legge elettorale – che non è una priorità per i cittadini, anche se la nuova legge va assolutamente fatta – conferma che Renzi vuole il voto insieme alle Europee e in questo, solo in questo ha ragione. Ma tale priorità è la sua agenda, non l’agenda per l’Italia. Tutto il resto delle proposte e richieste di Renzi dimostra che al di là della spigliata comunicazione fiorentina, tutto il suo programma è un’agenda per la presa del potere e non un’agenza per il Paese. La sua insistenza per temi contingenti e ad effetto emotivo dimostra quanto sia fragile la sua cultura di governo.
Dunque i liberali devono sostenere Renzi e quanti altri – Berlusconi e Grillo – chiedono il ritorno alle urne perché la parola deve tornare ai cittadini al più presto attraverso l’esercizio del diritto sovrano di eleggere governi scelti dal Popolo. Ma i liberali devono anche rendersi conto che un duello definitivo è cominciato fra chi vuole il primato della libertà (da cui far derivare le soluzioni per l’Italia) e chi vuole il primato della politica politicante di tipo socialista, spacciata per l’ultimo grido della modernizzazione soltanto perché presentata con efficaci mezzi retorici e comunicativi.
L’Italia di Matteo Renzi è l’opposto dell’Italia dei liberali e i liberali vedono nella crisi attuale l’occasione irripetibile per l’avvio di quella Rivoluzione Liberale che tanti dicono di volere ma per la quale nessuno ha fatto nulla.
E infine: il Partito liberale è un partito e non un movimento.
Ed è orgoglioso di potersi fregiare di quel nome: “Partito” che per altri è diventato emblema di un passato da dimenticare. Il Partito Liberale è diventato anche un oggetto del desiderio: tutti vorrebbero avere nel loro portafoglio e sul muro dei trofei. Questo perché è considerato un soggetto non contaminato, vivo e valido. Questo è il motivo per cui si deve impedire con la massima determinazione, anche con la foga, che il partito e il suo nome, la sua immagine e la sua memoria vadano a finire in qualche sconosciuto calderone di improvvisati stregoni che pensano di avere delle formule o delle ricette per affrontare la crisi di oggi senza sapere che cosa proporre per l’Italia di domani, per i figli di oggi, per il futuro di questo Paese unico e irripetibile sulla scena della Storia del mondo. Nessun altro Paese come l’Italia ha saputo essere protagonista in tante e diverse epoche storiche ed essere ancora protagonista persino in un momenti di crisi profonda. Ma così è l’Italia ha saputo organizzare l’Occidente per oltre duemila anni veicolando valori e merci, idee e leggi. Poi ha sostenuto il peso della barbarie metabolizzandola attraverso il cristianesimo, ha animato il Rinascimento, è stata protagonista anche quando era frammentata attraverso le arti e la scienza, Leonardo e poi Galileo. Oggi l’Italia è protagonista per alcune eccellenze, mentre ne disperde a centinaia a causa del parassitismo che la dissangua, dei piccoli centri di potere che la succhiano e la distruggono, a causa dell’emorragia di cultura, di identità linguistica e paesaggistica.
In Italia è oggi vietato competere, vietato produrre una scuola che abbia come scopo quello di preparare le nuove generazioni e non di essere un “posto di lavoro”. Il tesoro di arti e cultura è negletto e nessuno sa bene come spiegare perché a Dubai vadano ogni anno cinque volte i turisti che si recano a Roma o a Firenze, battute anche da Berlino. Ha forse detto qualcosa di preciso in questo senso Renzi la cui priorità è la legge elettorale con cui concludere il suo colpo democratico espugnando il palazzo d’inverno di largo Chigi?
Noi liberali abbiamo, più che un’agenda tascabile, un piano per l’Italia basato su un principio: la libertà. La libertà di intervenire, per esempio, sul patrimonio artistico e archeologico in modo nuovo e non conservatore, creando nicchie di attrazione turistica e culturale allo stesso tempo. Il fatto che un frammento di Pompei portato a Londra abbia generato un fenomeno di portata mondiale dovrebbe insegnare qualcosa anche a coloro che oggi blaterano di politica senza saper dare alcuna visione del futuro, ma soltanto vasti programmi per la settimana prossima.
I liberali non hanno un’agenda per se stessi ma ne hanno una per l’Italia. Gli altri dicono di avere un’agenda per il Paese, ma si tratta sempre e soltanto dell’agenda loro, della loro carriera, del loro cursus honorum.
Questa differenza rispetto ad altri partiti come quello democratico che hanno un’agenda per il proprio leader ma non per l’Italia può essere detta anche in termini ideologici: tutti i partiti e movimenti che vengono dal vecchio secolo – fascisti, comunisti, democristiani e socialisti – hanno fallito e sono morti. Alcuni di loro – fascisti e comunisti – hanno fallito nella vergogna e nel disonore. Altri – democristiani e socialisti – sono stati travolti dalla storia che non hanno saputo anticipare né accompagnare. I liberali fanno eccezione: la loro ideologia fondata sul cardine della libertà individuale, sul rispetto sacrale della persona e della sua dignità, del riconoscimento delle differenze e dei meriti, delle eccellenze e della individualità, ha superato la prova del fuoco dei crolli del passato ed emerge come l’unico soggetto politico sopravvissuto, l’unica traccia di DNA ideologico capace di produrre e riprodurre le donne e gli uomini del nuovo secolo, un secolo che impone sfide tremende ed esaltanti.
Finora il Partito che organizza i liberali italiani, il PLI, non ha espresso tuttavia una sua propria agenda per l’Italia. Le sue dimensioni minime di zattera su cui si sono rifugiati i naufraghi del secolo totalitario, ne fanno un soggetto poco visibile. Dunque la priorità per questo partito è certificare la propria esistenza rifiutando di accodarsi agli altri in modo subalterno, chiedendo e implorando di essere confederato, di essere incluso, di essere ammesso con il cappello in mano. Questa linea derivata da necessità tattiche di sopravvivenza deve cessare. Il Partito dei liberali italiani deve trovare al proprio interno le energie e le persone – donne e uomini, giovani e meno giovani – per riorganizzarsi in maniera indipendente, orgogliosa della propria identità, consapevole della superiorità civile delle proprie risposte alle domande di un Paese in profonda crisi perché spolpato dalle lobby, dai centri di potere da cui si può succhiare denaro statale, regionale, provinciale o comunale, che non lasciano carne viva ma soltanto scheletri.
© Rivoluzione Liberale

Carissimo Paolo,
Ho letto con gusto questo tuo quadro dello stato dei fatti politici e delle considerazioni Liberali che hai messo in evidenza . Personalmente spero e continuo in cuor mio a non demordere dalla possibilità di vedere realizzato un , oggi purtroppo ancora, sogno : la presa di coscienza dei Liberali , quelli cresciuti alla scuola Liberale, che solo attraverso una Unità Liberale si potrà raggiungere un diritto di tribuna che possa influenzare le “agende” politiche in autentici programmi Liberali: meno ingerenza dello Stato su i cittadini sotto diversi aspetti ad iniziare da quello fiscale ed assistenzialista, più incentivazioni per ridare priorità alle esigenze della PMI ripristinando le capacità di produrre e di rilanciare l’economia italiana,
Caro Maurizio,
ho letto con piacere questo tuo post.
Credo che i sogni possano diventare realtà solo in un modo: se ci crediamo concretamente. Per fare politica ci vuole passione, competenza e determinazione. Questo chiediamo ai vecchi e ai nuovi liberali italiani. Dare a priori, prima ancora di ricevere. Il sogno è vedere nascere una nuova Italia, sotto il segno dei liberali, per evitare di lasciare macerie in dote ai nostri cari più stretti (ovvero i figli). C’è in giro un disagio che si percepisce a pelle. La gente non solo non cammina più con la schiena dritta, ma è sempre scusa in volto. Gli italiani sono quasi rassegnati al loro destino. Personalmente non ci sto e il nostro obiettivo futuro e riportare in Parlamento un “manipolo” di liberali per iniziare a cambiare la classe politica attuale. Mi permetto di sottolineare un’ultimo aspetto: serve anche molta attenzione alla “legalità”. E’ di oggi la notizia degli arresti di Cerroni (per la discarica di Malagrotta). Ma ogni giorno veniamo a conoscenza di un nuovo scandalo. Ormai chi arriva in politica prima o poi cade nella rete della giustizia. Ci sono 17 giunte su 20 sotto inchiesta. E’ chiaro che il tema dell’etica non poi così banale, oltre che imprescindibile per il presente/futuro. Fare politica è per me una missione, un servizio a tempo a favore degli elettori (anche quelli che ti hanno votato) e durante la legislatura bisognerebbe distinguersi per il lavoro svolto, per gli obiettivi raggiunti e non per gli avvisi di garanzia. Il fatto che la stragrande maggioranza dei politici non lo capiscano, mi fa pensare che il sistema nella sua interezza sia ormai completamente marcio.