L’Unione Europea non ha saputo ascoltare le manifestazioni di Istanbul che contestavano lo strapotere dell’AKP. Eppure l’ancoraggio della Turchia all’Europa è indispensabile alla stabilità delle nostre frontiere e allo sviluppo dello Stato di Diritto.
La Turchia conosce, dall’ascesa al potere dell’AKP (Partito islamico-conservatore) nel 2002, una straordinaria mutazione che l’ha allontanata dal suo destino europeo. L’AKP ha iniziato una vasta opera di liberalizzazione dell’economia. In dieci anni, il PIL è raddoppiato rendendo la Turchia la prima potenza economica regionale, ben avanti l’Arabia Saudita o l’Iran. Membro del G20, ascoltata e rispettata, la Turchia è diventata uno svincolo strategico per gli idrocarburi. Questo mutamento ha anche toccato la società turca, che si è modernizzata, così come la politica estera, definita “neo-ottomana”, che ha reso Ankara il perno tra Balcani, Medio Oriente e Caucaso. L’AKP ha così rappresentato la via della modernità nel mondo musulmano. Questi successi politici, strategici ed economici sono dovuti all’arrivo al potere dell’elite islamo-conservatrice, che ha mescolato liberalismo economico e conservatorismo sociale. L’AKP si è spesso descritta come l’equivalente, nel mondo musulmano, della CDU tedesca. Questi successi sono anche da attribuire ad un carismatico uomo di Stato, Recep Tayyip Erdogan, ex calciatore diventato sindaco di Istanbul, grande oratore amante dei bangi di folla, diventato Primo Ministro nel 2003, dopo aver passato diversi anni in prigione per via delle sue idee religiose. Ha senza dubbio lasciato un segno nella Storia moderna della Turchia, quasi quanto il “Padre della Nazione”, Mustafa Kemal. Questi successi sono anche dovuti all’ascesa di una elite turca istruita e mondializzata. Il Presidente Abdullah Gul è un ex professore di economia, che ha lavorato per una banca in Arabia Saudita. Ali Babacan, Ministro dell’Economia, è stato un banchiere della Merrill Lynch e ha lavorato a lungo a Londra. Ahmet Davutoglu, il potente Ministro degli Esteri, è un universitario noto per i suoi studi sulle relazioni internazionali. Politicamente, il successo dell’AKP si basa su una doppia alleanza. La prima è quella con Fethullah Gulen e la sua potente confraternita,definita i “gesuiti” turchi, perché forma, in seno alle sue scuole, da trent’anni, la maggior parte delle elite che arrivano al potere. La seconda alleanza è quella conclusa con la classe media anatolica, a discapito delle elite occidentalizzate di Istanbul, che costituisce lo zoccolo duro dell’elettorato dell’AKP. Infine, strategicamente, l’AKP ha abilmente sfruttato il processo di adesione all’UE per rendere stabile e solido il suo potere, affievolendo così “lo Stato profondo”, ossia il potere kemalista e soprattutto il ruolo dell’esercito.
Ma da diversi mesi, il potere personalista di Recep Tayyip Erdogan vacilla. Questa inversione di tendenza si spiega in parte per l’emergere di una classe media che, come conseguenza della crescita economica, aspira a maggiori libertà politiche. Inoltre, l’usura di un potere che, dopo dieci anni di attività, cerca di mantenere alto il suo fascino e rafforzare la sua influenza sulle istituzioni. Il fallimento della politica neo-ottomana in Medio Oriente poi ha portato a violenti sussulti e, infine, il confronto in atto tra il Primo Ministro Erdogan e la confraternita Gulen, non sono di aiuto. Le violente manifestazioni a Istanbul lo scorso Luglio intorno al Parco Gezi e sulla Piazza Taksim, hanno segnato la fine del dominio politico dell’AKP sulla scena politica turca. Per quanto concerne lo scandalo di Stato in atto, questo affonda le sua basi nella lotta intestina nata tra Erdogan e Gulen per il controllo dell’apparato di Stato. Dopo dieci anni di potere in mano all’AKP, malgrado i suoi numerosi successi, la Turchia si è persa sulla strada europea. I negoziati per l’adesione sono ad un punto morto, sebbene la motivazione di adesione non sia più condivisa nella sua finalità, tanto da Bruxelles che da Ankara. L’Unione Europea non ha saputo ascoltare gli appelli dei manifestanti di Istanbul che contestavano il potere autoritario diell’AKP, né tantomeno capisce il confronto in corso ad Ankara tra la confraternita Gulen. E’ però in tutto l’interesse dell’Europa di far tornare la Turchia sulla strada europea. Non dimentichiamo che il destino della Turchia non è solo “neo-ottomano”, ma è anche europeo.
L’ancoraggio della Turchia all’Europa è indispensabile per la stabilità delle nostre frontiere, all’europeizzazione di una potenza emergente e allo sviluppo di uno Stato di Diritto. E’ probabile che la Turchia non aderisca mai completamente all’Unione Europea, ma è possibile che strada facendo, i termini di un partenariato globale vengano trovati tra Bruxelles e Ankara.
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