Dopo otto anni passati nel limbo del coma, Ariel Sharon è morto. Chi era questo figlio di immigranti russi che è riuscito a diventare Primo Ministro di Israele?
Il Leone del deserto, il Bulldozer, Arik, Re d’Isarele, i soprannomi non sono mancati ad Ariel Sharon, prova della sua grande popolarità, ma anche della reiezione suscitata in qualcuno. Di fatto, il destino di questo figlio di immigranti di origine russa, gli Schneiderman, si è fuso con la Storia di Israele, in un continuo dualismo di disprezzo e adulazione. Nato il 26 Maggio del 1928 a Kfar Malal, un Kibbutz della Palestina mandataria dove i suoi genitori avevano una fattoria, Ariel mostra già da piccolo di essere solitario, ombroso e ribelle. A casa l’atmosfera è altrettanto rude che le condizioni di vita. Si riceve poco e non ci si fida di nessuno, a cominciare dagli “Arabi”. A 14 anni, dopo aver mentito sulla sua età, raggiunge le fila della Haganah, la milizia ebraica nata ancora prima di Israele. E’ il suo primo contatto con la realtà militare, idillio durerà 25 anni. Primo importante appuntamento per il giovane soldato sarà la guerra di indipendenza del 1948 durante la quale, a forza di colpi audaci e di coraggio fisico – verrà gravemente ferito -, scriverà i primi capitoli della sua leggenda. Quella di uno stratega indisciplinato. Gli alti ranghi non approvano, ma gli daranno diversi gradi. Negli anni cinquanta, comanda l’Unità 101, specializzata nelle operazioni di rappresaglia e che commette talvolta errori sanguinari. Come a Qibya, in Cisgiordania, dove, nell’Ottobre del 1953, 69 vittime arabe, soprattutto donne e bambini, vengono estratte dalle macerie delle loro case fatte esplodere con a dinamite dai soldati. Ci saranno poi la Campagna di Suez, nel 1956, e la Guerra dei Sei Giorni, undici anni dopo. Per la sua testardaggine lascia l’esercito in virtù di un contrasto con lo Stato Maggiore, ma riprenderà l’uniforme per via della guerra del 1973, al termine della quale apparirà come salvatore della Patria. A capo della sua divisione di carri armati, supera il canale di Suez, permettendo così a Tsahal di accerchiare e isolare la terza armata egiziana. Congedato, Ariel Sharon si ritira nel suo ranch nel Negev. Una licenza che durerà poco.
L’arrivo al potere, nel 1977, di Menahem Begin gli offre l’occasione di lanciarsi in politica e di avviare lo sviluppo della colonizzazione in Cisgiordania e nella banda di Gaza. Ministro dell’Agricoltura prima e dell’Ambiente poi, in meno di 20 anni moltiplica per due il numero dei coloni istallati nei territori palestinesi. Il suo destino vacilla nel 1982, con la Guerra del Libano, che guida come Ministro della Difesa. Dopo il massacro nei campi di rifugiati palestinesi di Sabra e Shatila, commessi dalle milizie cristiane, è costretta e dimissionare. La Commissione d’inchiesta israeliana lo riconoscerà “indirettamente responsabile”. Si rifugia nuovamente nelle sue terre, con la sensazione che stavolta, era tutto finito. Si sbagliava, Sharon riesce a rimettersi in sella e rientrare nel gioco della politica. E questa volta nulla sembra fermarlo. Dopo gli accordi Israelo-Palestinesi di Oslo del 1993, è a capo di manifestazioni contro la politica di pace del Primo Ministro Laburista Yitzhak Rabin, che verrà assassinato due anni dopo. Ma sarà il suo grande rivale in seno al Likud, Benjamin Netanyahu, a vincere le elezioni del 1996. Pazienterà ancora cinque anni, prima di assaporare il gusto della vittoria. Eletto a larghissima maggioranza, riesce a marginalizzare il suo nemico di sempre, Yasser Arafat, e ad imporre al suo proprio campo il ritiro degli 8mila coloni ebrei da Gaza. Dopo questa operazione Sharon se ne va dal Likud sbattendo la porta per creare Kadima, il suo Partito di centrodestra, senza che la sua popolarità fosse in qualche modo colpita. Unanimi, i sondaggi lo danno vincitore alle elezioni che si svolgeranno senza di lui: la sera del 4 Gennaio del 2006, viene stroncato da un ictus. Non ha mai più ripreso conoscenza da allora.
Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la memoria di Ariel Sharon vivrà “sempre nel cuore della Nazione, mentre Simon Peres l’ha definito “uno dei più grandi architetti del Paese. Un dirigente audace che amava la sua Nazione e amato dalla sua nazione (…) Non conosceva la paura, sapeva prendere decisioni difficili e attuarle”. Da parte Palestinese i toni non sono propriamente di cordoglio. Fatah (il movimento del capo storico palestinese Arafat) si lamenta che Ariel Sharon non sia mai stato tradotto davanti alla giustizia internazionale, mentre Hamas in un comunicato ha dichiarato: “il nostro popolo vive un momento storico con la morte di questo criminale dalle mani coperte di sangue dei Palestinesi e dei loro dirigenti”. Ricordiamo che il fondatore del movimento islamista, lo sceicco Ahmad Yassine, era stato assassinato nel 2004 dall’esercito israeliano per ordine di Sharon. Un centinaio di membri della Jihad islamica hanno bruciato ritratti di Sharon e distribuito caramelle a Khan Yunes, nel sud della striscia di Gaza. All’annuncio della morte di Ariel Sharon, un’immensa gioia ha colto i quartieri miserabili a sud di Beirut (Libano). Tra i sopravvissuti al massacro del 18 Settembre 1982 si mormora che gli otto anni passati in coma sono stati una punizione di Dio per il Ministro della Difesa che, a quell’epoca, ha fatto si che i suoi soldati accerchiassero i due campi mentre la milizia cristiana libanese massacrava la loro gente.
Noi nonsiamo nessuno per giudicare, ma ci piace sottolineare le importanti e significative parole di Ban Ki moon. “Ci ricorderemo di Ariel Sharon per il suo coraggio politico e la determinazione della quale ha fatto prova assumendo la dolorosa e storica decisione di ritirare i coloni e i soldati israeliani dalla banda di Gaza.” Ricordando i negoziati di Pace Israelo-Palestinesi ai quali partecipa il suo “successore” Benjamin Netanyahu, ha invitato Israele “ad ispirarsi all’eredità impregnata del pragmatismo (di Sharon) per sforzarsi di creare finalmente uno Stato Palestinese indipendente e vitale, accanto di un Israele sicuro”.
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