I risultati venuti fuori dal referendum sulla Costituzione in Egitto aprono la strada verso la Presidenza al capo dell’Esercito Abdel Fattah al-Sissi, il quale però deve ancora convincere una parte non indifferente di quei giovani, che, pur avendo appoggiato la destituzione del Presidente islamista Morsi, ha disertato il referendum per timore di un ritorno al’era Mubarak.
Certamente, la partecipazione, pari al 38,6%, supera quella del referendum costituzionale del 2012, chiesto nel 2012 da Mohamed Morsi, e la valanga di si è schiacciante – più del 98% – ma per gli esperti, il risultato di questo scrutinio, prima tappa verso la “transizione democratica” promessa dall’esercito, è deludente. I giovani si sarebbero rifiutati di partecipare a questo referendum perché convinti che è in corso è una contro-rivoluzione nell’intenti di tornare su quanto era stato acquisito con la rivolta del 2011, che ha messo fine a 30 anni di regno assoluto del Presidente Hosni Mubarak. In effetti, nei primi mesi che avevano seguito la destituzione di Morsi da parte dell’esercito lo scorso 3 Luglio, i movimenti giovanili non hanno protestato contro la sanguinaria repressione nei confronti dei suoi sostenitori islamisti. Sono tornati in piazza solo quando il Governo ha promulgato una legge che limitava il diritto di manifestare e quindi preoccupando i movimenti laici e progressisti. Avendo percepito il malcontento che montava nei gruppi diversi da quelli islamisti, ormai decimati o imprigionati, il Generale Sissi si è rivolto ai giovani, (che rappresentano più del 50% degli 85 milioni di egiziani) esortandoli a votare, senza grandi risultati, dal momento che sono stati i grandi assenti delle file d’attesa davanti ai seggi. Il Governo ha giustificato questo fatto con la coincidenza delle sessioni di esami all’università, ma i Fratelli Musulmani hanno replicato in un comunicato che “i giovani non erano presi dai loro esami, ma dalle manifestazioni contro il colpo di Stato e un referendum da invalidare”. La Confraternita di Morsi ha inoltre accusato le nuove autorità di “frode”.
Il Generale Sissi, capo dell’Esercito, ma anche Ministro della Difesa e vice Primo Ministro, aveva promesso di candidarsi alle Presidenziali se il popolo lo “invocava”, legando di fatto il suo destino al referendum su di una nuova Costituzione, non tanto diversa dalla precedente. Annunciando la destituzione di Morsi, aveva promesso elezioni politiche e presidenziali nel 2014. Lo stato attuale delle cose in Egitto gli apre la via della Presidenza visto che gran parte degli egiziani vede ancora i Fratelli Musulmani come un pericolo per la società. Ma i movimenti giovanili, punta di diamante della ribellione anti-Mubarak e delle manifestazioni oceaniche del 30 Giugno contro Morsi, denunciano ora i tentativi di imbrigliare le libertà. Ad innescare la miccia è stata la promulgazione della legge che vieta qualsiasi manifestazione pubblica che non abbia ottenuto l’avvallo del Ministro degli Interni. Accusati di aver infranto questa legge, i militanti pro-Democrazia più influenti sono stati arrestati, condannati o aspettano il processo. Questi fattori, legati ad una campagna mediatica contro i giovani rivoluzionari, rischiano di far vacillare la popolarità delle autorità e porta a far pensare che si stia tentando di far si che la rivoluzione del 30 Giugno volga a favore di una rete di interessi una volta legati al regime di Mubarak. Per Mohamed Ghorab, un militante della campagna “No ai processi militari ai civili”, che ha chiesto di votare no al referendum, “è abbastanza ironico che la Costituzione parli di libertà di espressione quando coloro che gli hanno detto no sono ora in prigione”. E aggiunge:” Questo ci ricorda l’era Mubarak”. Coloro che hanno fatto la rivoluzione contro Mubarak non vogliono tornare ad un potere autoritario. Il nuovo regime crede alle libertà politiche? Per il momento la domanda è lecita visto che non ci sono segnali in questo senso. Come per tentare di scongiurare le critiche, l’esercito ha fatto sapere all’indomani del referendum che il Generale Sissi aveva insistito sul fatto che nessuna “personalità” dell’era Mubarak avrebbe preso parte del futuro Governo, sottolineando che “l’Egitto non sarebbe tornato indietro”. Inoltre, il giornale privato Al Watan, riportava Domenica che “i capi militari avrebbero incontrato alcuni giovani e altri rappresentanti della rivoluzione del 2011”. In serata, il Presidente ad interim Adly Mansur, in un discorso alla Nazione, ha voluto rivolgersi ai giovani, “motore delle rivoluzioni popolari” che hanno cacciato dal potere due Presidenti, pregandoli di “ continuare su questa strada e ad impegnarsi nella vita politica”.
Non dimentichiamo che in Egitto vi sono stati tre referendum costituzionali dalla rivoluzione in poi: nel Marzo 2011, a proposito delle modifiche proposte dal potere militare di transizione, nel Dicembre 2012 per votare la Costituzione proposta dai Fratelli Musulmani e lo scorso 14 e 15 Gennaio per adottare la Costituzione proposta dalle nuove autorità. Ogni volta si è in realtà trattato di modificare la Costituzione del 1971, senza che nulla cambiasse nella sostanza. E ogni volta, il potere del momento ha affermato che il risultato era stato netto e trasparente e che gli conferiva una legittimità inconfutabile. In realtà, ogni referendum ha confermato l’esistenza di quattro blocchi politici. I primi due sono, da una parte gli islamisti e dall’altra i nostalgici del vecchio Regime di Mubarak. Sono sicuramente in minoranza, ma ognuno di loro vuol far credere di rappresentare la maggioranza degli egiziani. Il terzo blocco, per ora maggioritario, è quello che vota sempre si, sperando che questo gli porti la tranquillità e la stabilità. Il quarto è rappresentato dai giovani e le forze rivoluzionarie, che solitamente si astiene dal votar, visto che le forze al potere hanno sempre mostrato di essere più propense a tendere la mano alla reazione anti-rivoluzionaria. Ma dal Marzo 2011 l’astensione è cresciuta sempre più, e questo deve essere un campanello d’allarme importante.
Bisogna da tale ulteriore vicenda constatare che le elite al Governo in più di un Paese, prima di essere costrette a fare le concessioni necessarie per creare condizioni di vera stabilità, ritardando sempre le scadenze, moltiplicano le esplosioni popolari, che diventano sempre più gravi.
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